di STEFANO LOPETRONE
LECCE - Almeno 600 barilotti di policlorobifenili. Il rifiuto altamente tossico e cancerogeno è tombato nella discarica di Burgesi, a Ugento, dal 2000. Migliaia di litri di Pcb riposano nel terreno, pressati da tonnellate di rifiuti e dalla tensione dei teli in polietilene. Già contaminato, il percolato finito nei pozzi di captazione: per fortuna non ancora l’acqua della falda. Per questo la Procura - all’esito degli accertamenti provenienti da carabinieri del Nucleo investigativo, del Nucleo ecologico e di un esperto del Cnr di Bari - ha subito scritto a ministero dell’Ambiente, Regione e Comune di Ugento: «Il rischio ambientale è concreto, il sito va bonificato», scrivono i magistrati leccesi.
Dopo le dichiarazioni rese tra giugno 2014 e ottobre 2015 da Gianluigi Rosafio (già condannato nel 2003 per trasporto, intermediazione e smaltimento dei rifiuti illeciti), che parla di 600 fusti interrati in un paio di mesi nel corso del 2000 a Ugento, la Procura avvia gli accertamenti. Affida a Giuseppe Mascolo, esperto dell’Istituto Ricerca sulle Acque del Cnr di Bari, il compito di analizzare il percolato e la falda per capire se sono già contaminati. Lo scorso settembre arriva l’esito delle analisi: nei pozzi di captazione del percolato si riscontrano concentrazioni di policlurobifenili che variano da 3,3 a 902 nanogrammi per litro. «I risultati analitici dimostrano inequivocabilmente che nella discarica sono stati a suo tempo stoccati dei fusti contenenti Pcb, che nel tempo hanno riversato parte del loro contenuto nei rifiuti e, conseguentemente, nel percolato», scrive Mascolo. L’ulteriore indagine nelle acque di falda fa tirare un sospiro di sollievo: «Non vi è alcuna contaminazione da Pcb sulla base del limite di rilevabilità della metodica impiegata che è pari a 0,3 ng/L (nanogrammi per litro, ndr)».
Tutto finisce nero su bianco nella richiesta di archiviazione firmato da Angela Rotondano e Elsa Valeria Mignone, rispettivamente sostituto procuratore e procuratore aggiunto a Lecce. La richiesta di archiviazione per Rosafio si basa su tre motivi: intanto i reati di trasporto, intermediazione e smaltimento illeciti dei rifiuti sono prescritti; in secondo luogo Rosafio ha già una condanna in concorso con altri imputati per gli stessi reati; infine non è applicabile la normativa del 2015 (che introduce i reati di disastro ambientale e inquinamento) perché non vigente all’epoca dei fatti.
Ora la palla passa alle istituzioni. I sindaci dei Comuni più vicini alla discarica pretendono un veloce iter di bonifica: Massimo Lecci (Ugento) ha già contattato gli organi competenti per un tavolo tecnico ad hoc. Francesco Ferraro (Acquarica del Capo) si è fatto recapitare tutti i documenti relativi al caso per poi valutare con altri primi cittadini il da farsi. Schiuma rabbia Riccardo Monsellato (Presicce), stufo del martirio a cui è sottoposto il proprio territorio. Il deputato Rocco Palese (Conservatori e riformatori) chiede un impegno concreto a governo nazionale e regionale. Presenterà una richiesta alla Commissione Ambiente di Montecitorio appena riapriranno i lavori parlamentari, per ottenere un’ordinanza di emergenza che velocizzi le opere di bonifica. Alla Regione Palese chiede ogni provvedimento a tutela della salute pubblica e la mappatura dei rischi.