In una città che appare inquieta
A Natale Bari dibatte in cerca di visioni
di Oscar Iarussi
«Al quarantesimo giorno di grotta cominciava a serpeggiare nel gruppo un certo malumore. A causa dell’oscurità i visitatori dovevano aver perso la nozione del tempo». Come in un celebre passaggio del «Fantozzi, ragionier Ugo», al secolo Paolo Villaggio, anche i baresi sembrano improvvisamente preda «di un certo malumore». Così, quando meno te l’aspetti, cioè in queste giornate prenatalizie, fra l’ansia dei regali e l’imminente chiusura delle scuole (diciotto giorni), ecco un’inopinata pletora di incontri pubblici sul passato e sul futuro di Bari, con inevitabili accenni al presente.
«Sì! Il dibattito sì!», rovesciando l’invettiva di Nanni Moretti in Io sono autarchico. Che dibattito sia, allora... Con gli autori del volumetto laterziano Sociologia di Bari. Tra sogno e realtà; con Gennaro Nunziante per chiedersi «quo va?» il capoluogo; con tutti i sindaci viventi per raccontare la città.
Mentre «Convochiamoci per Bari», aggregato della residua Sinistra, si chiede «Che fine ha fatto la Città Plurale?»: un evidente riferimento all’associazione di cittadinanza attiva che contribuì a dare il la alla cosiddetta «Primavera pugliese». Il cambio di stagione incarnatosi nelle figure di Emiliano e Vendola veniva da lontano, dall’esodo albanese approdato a Bari con la «Vlora» nel 1991, ma non è andato molto lontano...
L’autunno prende il sopravvento più o meno dopo i primi mandati di «Nichi & Michi», oltretutto intenti a litigare che è una bellezza. Tuttavia gli osservatori più acuti se ne accorgono soltanto qualche mese fa, forse perché «a causa dell’oscurità dovevano aver perso la nozione del tempo». Non è ozioso interrogarsi su che cosa sia andato storto nella «Primavera» e in altre esperienze elaborate qui (pensate alle «Fabbriche di Nichi» che ebbero una loro presa nazionale), purché non si utilizzi - come è stato fatto di recente - «Città Plurale» quale alibi per quanto non va oggi. Infatti l’associazione è inattiva da un paio di lustri, #sapevatelo.
Il sociologo Onofrio Romano, fra gli autori dell’agile «Sociologia» da cui ha preso le mosse un ciclo di incontri della libreria Laterza, sostiene che Bari «conserva innovando», per cui arriva in ritardo sui processi politici, sebbene appaia in anticipo. A suo avviso, la «Primavera pugliese» fu tardiva dopo quella palermitana di Orlando e la napoletana di Bassolino, entrambe prodotte dalla legge sull’elezione diretta dei sindaci risalente al 1993, e parimenti naufragate nel giro di poco. Può essere. Tuttavia la singolarità dei caratteri politici e personali del sindaco gladiatore Emiliano e del comunista meridiano Vendola effettivamente fecero volare le aspettative di una palingenesi collettiva la cui caduta è stata rovinosa per chi vi credette. Una delusione che temiamo influisca anche sulle nuove generazioni.
Certo, Emiliano è ora presidente della Regione e si candida a leader del Sud, del suo partito (Pd) e poi chissà... La legittima ambizione potrebbe far tesoro degli errori di Vendola (nonché di Renzi): l’arroccamento nella cerchia dei fedelissimi, e, soprattutto, l’indifferenza o l’insofferenza al dissenso ridotto allo ius murmurandi, al mugugno allusivo su Facebook.
Perciò è un bene che si torni a parlare «dal vivo» a confrontarsi e persino a scontrarsi, come accadeva al tempo dei partiti, la cui dimensione collettiva si è estinta, lasciando sul campo gli apparati e i rituali della «solita» politica. Magari sarebbe il caso di affiancare alla memoria qualche esercizio di realtà intorno a questioni non trascurabili: l’impoverimento, le infrastrutture, l’immigrazione, le politiche per la famiglia e per la scuola, le rappresentazioni fallaci - che siano fosche o edulcorate - del Mezzogiorno ostinatamente ignorato nell’agenda politica romana.
A Bari mancò il coraggio sia dei leader sia delle élite professionali e intellettuali (in primis l’Università) che oggi dibattono su quella viltà «come se non fosse a loro» (il gergo rende meglio, talora). Tutto cambiò grazie alla sovversione dell’orizzonte prodotto dalla «Vlora» che trasformò la Puglia «orientale» in approdo dell’Occidente: e fu subito Lamerica, per dirla col titolo del film di Amelio. Quel trauma adriatico pulsa anche nel «pensiero meridiano» di Franco Cassano, un’elaborazione vivida per parecchi anni, poi tramontata anche a causa del mutato scenario euro-mediterraneo (fuga da Bruxelles, guerre sulla sponda sud, Isis).
Insomma, più volte Bari ha provato a disertare dal suo «copione» fondativo: la scaltra sottrazione delle ossa di un santo, l’istinto appropriativo e il pragmatismo dei soldi «pochi maledetti e subito». Bari ci ha provato grazie alla storia di Croce e Laterza durante la guerra, ci ha provato con Moro (a suo modo un concreto visionario), poi con i comunisti eretici dell’école barisienne anni ‘70, infine con i risvegli primaverili.
Oggi? Appare silente, ammaccata, un po’ incattivita a dispetto della campagna sulla Bari «perbene». Le cose buone si fanno o si portano a termine (da ultimo, il ponte «senza nome»), ma, dicono tutti, «manca una visione». Interrogato in proposito alla libreria Laterza, il sindaco Decaro rispose che la «sua» Bari punta sull’arte, guardando alla spagnola Bilbao del Guggenheim Museum. Una novità interessante dopo anni in cui si si è chiacchierato quasi esclusivamente del «miglio dei teatri», invero per lo più chiusi (Kursaal, Margherita, Piccinni). Se così dev’essere, prendiamo l’arte e non mettiamola da parte, a cominciare dalla splendida Pinacoteca della Città Metropolitana che, valorizzata, sarebbe un perfetto museo e cardine per la Città dell’Arte.
Quanto all’arte di fare una città, parliamone pure, anche dopo Natale, ma prima che Bari si perda tra il nulla e l’oblio di sé.