oro verde lucano

Il pistacchio di Stigliano insidiato dai «frutti falsi»

Giovanni Rivelli

di GIOVANNI RIVELLI

POTENZA - È l’unica che produce il «Pistacchio di Stigliano» e il Ministero dello Sviluppo Economico le ha concesso per dieci anni la registrazione del relativo marchio, sebbene contenente un toponimo, proprio perché è l’unico ad avere piante in quel territorio e «la durata decennale della tutela di un marchio è inferiore al tempo minimo necessario per rendere produttivo un nuovo impianto». Ma girando per ristoranti, gelaterie, fiere e canali televisivi le capita di imbattersi in tante persone che vantano le qujalità e propongono «Pistacchio di Stigliano» che non proviene dalle sue piante.

Quel pistacchio, insomma, puzza almeno di falso. E in ballo non ci sono i bilanci di un’azienda (quella «autentica», la azienda agricola Ricciuti Vincenzo Maria già vende tutta la sua produzione e ha ulteriori richieste) ma il possibile futuro di questo prodotto e anche la già ipotizzata creazione di una filiera. Perché se è vero che il pistacchio di Stigliano ha qualità particolari e uniche, il fatto che ci possano essere in giro altri prodotti di provenienza incerta che si avvalgono dello stesso marchio potrebbe «minare» il posizionamento commerciale di questo «made in Basilicata».
Un made in Basilicata che già hanno modo di apprezzare i clienti della gelateria «Degli angeli» di Matera, che già utilizza solo questo pistacchio, o di grandi gelaterie artigiane di Milano come di Torino tra cui Fiordipanna che anche spendendo qualche euro in più hanno preferito il prodotto lucano ai tanti, spesso di provenienza estera, che si trovano in giro. E anche al Salone del gusto di Torino, la competizione tra il Pistacchio di Stigliano e il più noto e costoso (anche tre volte) Pistacchio di Bronte ha visto il prodotto lucano affermarsi e, addirittura, ottenere più ordinazioni.

Tutto bene, insomma. «Se non fosse - spiega Tiziana Auletta, moglie del titolare dell’azienda lucana che si occupa delle vendite - che ti capita di vedere programmi su Raidue o Raitre in cui noti chef fanno ricette con un pistacchio di Stigliano che Pistacchio di Stigliano non è. Ne sono certa sia perché vendiamo direttamente e senza agenti, sia perché il mio pistacchio lo riconosco da lontano. Ed è caratteristico sia nella produzione che nella lavorazione. Non lo saliamo o lo sostiamo per conservarlo, lo conserviamo in celle frigorifere senza sgusciarlo per poi privarlo del guscio a piccoli quantitativi solo quando serve. È un prodotto delicato che ha bisogno di cura se se ne vogliono preservare salubrità e qualità organolettiche. E chiunque lo assaggia se ne rende conto. Ma se qualcuno spaccia per pistacchio di Stigliano qualcosa che non ha la stessa qualità fa un danno permanente».

Così, ad esempio, è capitato che alla fiera del gusto mentre era in corso la disputa col Pistacchio di Bronte qualcuno si è avvicinato ai lucani per complimentarsi e assicurar loro che già aveva provveduto ad acquistare il loro prodotto in fiera dove, però, nessuno lo vendeva. O che la stessa Auletta si vedesse proporre in qualche ristorante un piatto al «pistacchio di Stigliano» che però di stigliano non era. «Ci auguriamo che altri inizino la produzione - spiega Auletta - ma non si può fare dlala sera alla mattina. Prima che una piantagione inizi ad essere produttiva servono 10 anni e se qualcuno vorrà farlo saremo felici di metterci al lavoro per definire un disciplinare che garantisca la qualità nell’interesse di tutti. Ma al momento non è così». Al momento ci sono solo i 600 quintali di prodotto proveniente dai 5 ettari di piantagione di quell’azienda a cui, l’anno prossimo, si aggiungeranno i frutti di altri dieci ettari piantati dalla stessa azienda 10 anni fa e, tra otto anni, altri pistacchi provenienti da ulteriori cinque ettari piantumati da tre anni. Una sfida a lungo termine, che potrebbe dare risultati. Sempre che i falsi non facciano danni.

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