di MASSIMILIANO SCAGLIARINI
BARI - Forse non saranno 50 milioni, ma la sostanza non cambia molto. I fondi europei che la Regione dovrà recuperare dalle Sud-Est sono esattamente quelli utilizzati per pagare progettisti, collaudatori e direttori dei lavori scelti senza gara d’appalto e dunque non rendicontabili in sede comunitaria. E per far fronte all’ulteriore buco che si apre nei bilanci già disastrati della più grande ferrovia concessa d’Italia ed evitarne il fallimento, le alternative a questo punto sono soltanto due. Che il ministero delle Infrastrutture, proprietario delle Sud-Est, eroghi altri 50-70 milioni. O che accetti la proposta avanzata dal presidente Michele Emiliano: creare una nuova società, ed abbandonare la vecchia con tutti i suoi debiti.
Emiliano ha illustrato questa ipotesi al ministro Graziano Delrio la scorsa settimana, prima che gli uffici dell’assessorato regionale ai Trasporti inviassero una lettera al commissario delle Sud-Est, Andrea Viero. Nella missiva, datata 5 maggio, c’è scritto che in due grandi progetti, l’elettrificazione della Bari-Taranto e l’ammodernamento della rete salentina, ci sono «differenze di rendicontazione» per circa 12 milioni dovute a problemi con gli incarichi di progettazione. Negli anni dal 2013 in poi, come ha potuto verificare Deloitte, le Sud-Est hanno ricevuto dalla Regione almeno una decina di lettere simili. In totale, le spese non ammissibili rispetto ai progetti finanziati da fondi europei si aggirerebbero appunto sui 50 milioni. Sono soldi che Sud-Est, come la «Gazzetta» ha spiegato ieri, ha già incassato e dovrà quindi restituire: ed è un’altra voce di debito che si aggiunge ai 310 milioni di passivo già accertato.
In Sud-Est, insomma, qualcuno già sapeva da tempo che le maxiparcelle pagate a consulenti e progettisti (ma anche all’ex amministratore Luigi Fiorillo, che aveva ottenuto consulenze come assistente del responsabile del procedimento) non sarebbero state rimborsate dalla Regione. Si tratta, ad esempio, dei soldi pagati a professionisti come Vito Antonio Prato, che in 10 anni ha ottenuto incarichi per 50 milioni (la cifra è una coincidenza: quelli da restituire sono fondi della programmazione europea 2007-2013). È vero che per chiudere le rendicontazioni c’è tempo fino al 30 giugno, e dunque l’interlocuzione con gli uffici potrebbe portare a ridurre il debito delle Sud-Est con la Regione. Ma è anche vero che parliamo, comunque, di cifre nell’ordine delle decine di milioni, sufficienti a far saltare il piano industriale e dunque l’ipotesi di salvataggio dell’azienda.
Emiliano, come detto, ha fatto la sua proposta prima che scoppiasse il problema. È, diciamo, lo schema Alitalia. Creare una «newco», le Nuove Sud-Est o un nome simile, cui trasferire il contratto di servizio ed i dipendenti. Il debito rimarrebbe in capo alla vecchia società, e dunque al ministero. La nuova società verrebbe invece trasferita alla Regione che si impegnerebbe a finanziare il servizio ripartendo da zero.
Questa ipotesi, ovviamente, non piace al ministero delle Infrastrutture: significherebbe scaricare sui conti pubblici 350 milioni di debiti, cifra peraltro destinata a crescere. La chiusura delle vertenze con il personale, ad esempio, comporterà extracosti non previsti per 20,8 milioni di euro. Il quadro già fosco emerso dalla relazione di Viero era, insomma, ottimistico, mentre il piano di risanamento deve essere costruito sull’ipotesi peggiore: ed oggi c’è un’azienda, le Sud-Est, con un patrimonio netto negativo che sfiora i 200 milioni. Garantire la continuità aziendale è un esercizio difficile.
Ecco perché l’unica altra alternativa alle procedure fallimentari è una ulteriore ricapitalizzazione. La legge di Stabilità ha stanziato 70 milioni (si trovano ancora nelle casse dello Stato), ma per fare in modo che il piano industriale torni asseverabile ne servono almeno altri 50-70. Ed è questo il ragionamento che Viero ha illustrato nelle scorse ore al ministro Delrio: con 120-150 milioni di risorse fresche, e con i 20-25 milioni di utile che le Sud-Est potrebbero produrre già da quest’anno se correttamente amministrate, è possibile ipotizzare il risanamento in un arco temporale ragionevole pari a 6-7 anni. A quel punto, però, la Regione dovrebbe impegnarsi ad acquisire la società subito dopo la ricapitalizzazione, ipotesi che Emiliano fino ad ora ha sempre escluso.
Ma mentre si ragiona del salvataggio, si comincia a pensare anche alla resa dei conti. Il ministero, infatti, potrebbe a breve autorizzare il commissario a lanciare le azioni di responsabilità contro gli ex amministratori. E a questo punto non rischia soltanto Fiorillo, per 23 anni padre-padrone delle Sud-Est, ma anche tutti i dirigenti che nell’ultimo decennio hanno pagato parcelle e consulenze da sogno.