Per vendere ai baresi i pubblicitari sdoganano il tr'mon

BARI - Sei in auto che gironzoli nella città deserta, accendi la radio per noia, intanto che decidi come far scivolare la giornata fino a sera. Eccola, tambureggiante, asfissiante, onnipresente, la campagna pubblicitaria di Sky in vista del nuovo campionato di calcio, in tutti i laghi, in tutti i luoghi, in tutte le emittenti del globo. C’è Cassano alle prese con un alter ego, un altrosè faidatè che sappiamo (dalla tv) essere cicciottello come una salama da sugo. 

Ad un certo punto, seccato dall’evidente goffagine del replicante, Fantantonio lo apostrofa secco: «Uè, tr’mòn». Pensi ad un’allucinazione, chessò a del peyote mescolato per errore ai porcini secchi nella busta del risottino Knorr che ti sei sparato ieri sera a cena. E tiri dritto sinché non sbatti contro un gran cartellone pubblicitario: «Ie megghie ies stupid che tr’mon». Provano a vendervi dei jeans, vi fosse sfuggito il nesso. «Be stupid» è uno dei tradizionali specchietti per le allodole dell’azienda di Renzo Rosso, che in ogni zona d’Italia prova a giocare con gli idiomi locali sul concetto di «stupid», in maniera un po’ provocatoria come tradizione. 

Trimone... trimone... trimone... la parola non suona nuova agli abitatori di queste lande. Lo digiti su Google e scopri una serie di link che mai te lo saresti potuto aspettare. Ad occhio, diremmo che la parola «trimone» è uno dei cardini sui quali si fonda la baresità allargata on-line. Intanto, sgomberiamo il campo da ogni possibile equivoco: al di là dell’uso proprio del termine, come ben sanno gli indigeni chiaramente riferito ad una frenetica attività masturbatoria giovanile, la parola è in uso da decenni nel significato di scemotto, individuo poco furbo, tipo poco sveglio, fesso. Ha un forte senso caricaturale, per cui quasi mai viene percepita come un insulto, tant’è che è uno dei primi canzonamenti che i fanciulli imparano appena mettono piede a scuola: uè, tr’mon a vind. Trimone a vento? Sarà forse un gioco di parole con timone? E quanto potrà mai sollazzarsi il nostro amico col turgido vento di maestrale che scompiglia i riccioli dell’amico Fritz? 

Secondo alcuni, l’etimologia potrebbe risalire al latino «manus turbare», da cui masturbare, col tempo sincopata in «tr....» con la caduta della «u». Potrebbe. Resta il fatto però che con un nome più o meno simile, tutta la provincia indicava i manici delle zappe e delle vanghe, persino la pala che veniva usata per fare il gelato. Fate voi: in un caso o nell’altro è chiaro il riferimento, meno chiaro è capire chi abbia battezzato chi, cioè se sia nato prima l’uovo o la gallina. 

La sapida autobiografia di Cassano, in verità, aveva ben riportato in auge il termine, mai abbastanza desueto. Il termine, in «Dico tutto », veniva usato indifferentemente tanto per sottolineare la frenetica attività erotico-manuale dello scolaro Antonio alle prese con le scosciature della prof e le prime vivide emozioni di adolescente, che per apostrofare alcuni compagni, rei di comportamenti non sufficientemente «svegli». 

Del resto, sono molti i compagni di squadra dell’epoca barese del Pibe di Barivecchia a ricordare i preziosi insegnamenti della lingua indigena alla truppa. Uno di quei giocatori dell’era fascettiana, di altra madrelingua, ricorda ancora come, appena giunto a Bari, e ben infarcito di slang, si ritrovò a cena a casa di una bella fanciulla con la quale aveva appena accennato una liaison. La mamma di lei, gentilissima, nell’afoso settembre mediterraneo, gli propose una bibita fresca, «chessò - disse la signora - una cocacola, un’aranciata, magari un chinotto...». 

Lui, che della parola chinotto aveva tutt’altro significato, declinò cortesemente, ma rimase per così dire molto sorpreso dalle usanze locali: ma come - pensò - vado a conoscere i genitori con la figlia, e la mamma mi propone così su due piedi un bel chinotto? Sono pazzi questi baresi, chiosò con Asterix. Per dire, anche il chinotto impazza in questi giorni sulle tv locali, al centro di un gustosissimo spot di una nota catena simil-bancodeipegni. Quando si dice l’eleganza. Del riccio. 
[f.cost.]

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