Euro 2020

Se basta inginocchiarsi per battere il razzismo

Bianca Chiriatti

La partita fra Italia e Galles non resta nella storia di Euro2020 solo per il risultato, che ha regalato agli Azzurri il primo posto nel girone, ma anche per un gesto simbolico: pochi secondi prima del fischio d’inizio tutta la squadra gallese e cinque giocatori italiani si sono inginocchiati in nome del movimento antirazzista Black Lives Matter. Per alcune nazioni è ormai una consuetudine, anche se la Uefa non ha mai dato indicazioni a riguardo. La Figc invece, grazie al responsabile della comunicazione Paolo Corbi, fa sapere che da ora in poi verranno prese decisioni unanimi prima di entrare in campo: o tutti in piedi, o tutti in ginocchio. Eppure nelle scorse ore il giudice più spietato del secolo, il popolo del web, ha preso la sua posizione assolutista e ha deciso: chi non si è inginocchiato è «razzista», e i sei calciatori italiani rimasti in piedi sono stati messi alla gogna social.

La posizione più lucida ed equilibrata sulla faccenda l’ha espressa il presidente della stessa Figc Gravina, che ha ribadito l’inesistenza di imposizioni dall’alto, e che ognuno deve essere libero di scegliere. Una posizione che si scontra con la decisione finale della Federazione, più netta, «o tutti, o nessuno», ma che centra il punto della discussione su questo tipo di gesti: si tratta di manifestazioni spontanee o atti dovuti? Iniziative sincere che vengono dal profondo o «mode» a cui ci si adegua? Nessuno verrà mai a dire che le intenzioni non siano nobili, né in questa sede si farà ricorso allo slogan: «Le vere lotte si fanno con le azioni concrete». Ma la gogna per chi decide di non allinearsi e «protestare» liberamente, in altri modi, appare ingiusta.

Anche perché la società di oggi è piena di gesti emblematici che solleveranno sempre polemiche. Rimanendo in ambito Europei, il sindaco di Monaco aveva proposto di illuminare lo stadio con i colori dell’arcobaleno durante Germania-Ungheria, come manifestazione di sostegno alla comunità Lgbt, in dissenso verso le misure del governo Orban contro la comunità omosessuale. La Uefa, organismo politicamente e religiosamente neutrale, non ha autorizzato l’iniziativa, e in risposta ha colorato il suo logo, sostenendo che l’arcobaleno è simbolo di società più inclusiva, non uno strumento per portare avanti un atto politico. Apprezzabile o no, non è una scelta giusta o sbagliata: è una scelta libera, e come tale va accettata. Come quando all’ultimo Festival di Sanremo Francesca Michielin offrì a Fedez i fiori che le avevano consegnato per sottolineare la parità fra i sessi. Un gesto di forte impatto, ma non significa che chi non si espone pubblicamente non abbracci gli stessi ideali. In ogni contesto, probabilmente ciò che vince è la coerenza. Non basta comprare una borraccia, magari per una bella foto da pubblicare su Instagram, per essere «ambientalisti», se poi non si fa la differenziata. E occorre rispetto per chi decide di esprimere le proprie posizioni in altro modo. Perché – come qualcuno ha ironicamente sottolineato su Twitter – se una persona non si inginocchia, magari è perché dopo la pigrizia del lockdown le sono venuti i reumatismi. E noi non possiamo saperlo.

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