La pista dei soldi è spesso quella più eloquente. E certo colpisce che Filippo Paradiso, un semplice sovrintendente della Polizia di Stato, risulti «gestore di una polizza di gestione patrimoniale di oltre 2 milioni di euro incompatibile con il suo profilo reddituale». Non basta spacciarsi per viceprefetto, come aveva raccontato ai pm di Potenza un colonnello dell’Arma, per mettere insieme una somma del genere. E infatti le indagini che martedì li hanno fatti finire entrambi in una cella hanno accertato che Paradiso «agiva in nome e per conto di Piero Amara con cui viveva in simbiosi anche affaristica»: l’avvocato siciliano gli aveva assunto la moglie, e in cambio di «relazioni e rapporti fondamentali per il raggiungimento dei suoi obiettivi» come era la nomina di Carlo Capristo a Procuratore di Taranto, gli garantiva «consistenti somme di denaro».
Chi indaga considera Paradiso, 55 anni, nato a Matera ma residente a Modugno, il perno del sistema che per soddisfare gli obiettivi del gruppo di potere non ha esitato a manomettere un pezzo dell’indagine sull’ex Ilva. Se Amara, tramite il suo «relation man» Paradiso, si era mosso per sponsorizzare Capristo a procuratore di Taranto con pezzi della politica e dell’imprenditoria, lo aveva fatto - ha scritto il gip Antonello Amodeo - «non per amicizia o cameratismo ma per interessi economici specifici»: Amara pagava Paradiso, Capristo interveniva sull’Ilva per Amara, l’Ilva pagava Amara per i due incarichi ottenuti grazie al commercialista Nicola Nicoletti, consulente dei commissari Ilva «che lo aveva seriamente sponsorizzato». Un tipo di corruzione che non è fatto di mazzette ma di consulenze, di scambi di favori, di reciproci riconoscimenti.
Ne è un esempio quanto accaduto con l’indagine Ilva. Quando - dice la Procura di Potenza - era necessario far dissequestrare l’Afo4 dopo l’incidente che ha causato la morte dell’operaio Giacomo Campo, è Amara a fornire a Capristo il nome del consulente tecnico cui affidare la perizia: un ingegnere che «partiva da Torino la domenica stessa, 18 settembre 2016, giungendo a Taranto con volo aereo pagato da Amara tramite suo prestanome, in serata riceveva l’incarico ex 360 cpp, il lunedì mattina svolgeva e concludeva il sopralluogo, a seguito del quale l’Afo 4 veniva dissequestrato».
Amara e Paradiso oggi saranno sentiti dal gip: il primo nel carcere di Potenza, il secondo in videoconferenza dal penitenziario militare di Santa Maria Capua Vetere. L’accusa nei loro confronti è concorso in corruzione in atti giudiziari insieme a Capristo (obbligo di dimora a Bari), Nicoletti e all’avvocato molfettese Giacomo Ragno (domiciliari): secondo il legale dell’avvocato siciliano, Salvino Mondello, «l’ipotesi di reato appare travisata in fatto ed erronea in diritto». I due sono coinvolti insieme a Roma in una strana indagine per traffico di influenze in cui si parla di soldi a gente dei Servizi. Eppure fino a poche settimane fa il poliziotto barese ha lavorato nella segreteria del sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia, l’ultima di quelle in cui è stato ininterrottamente dal 2004. Nel 1996 Paradiso è stato condannato a 23 anni di carcere per un omicidio commesso durante una rapina che l’allora poliziotto avrebbe fatto nel 1987 a Reggio Calabria con un collega, condanna cancellata in appello nel 2002: da allora non è più tornato al servizio attivo, ma è stato chiamato nello staff ministeriale del Berlusconi bis ed ha collaborato con vari ministeri di 11 governi consecutivi. Un uomo di relazioni che garantiva tutti.