Gli avvocati Michele Primavera e Oronzo Panebianco rinunciano a tutte le cause e a tutti i pignoramenti pendenti sui conti della Regione. Un «accordo» (con le virgolette) con la Procura di Bari chiude, dopo 15 anni, il caso delle indennità compensative in agricoltura, quello che ha consentito ai due legali - finiti ai domiciliari il 16 dicembre - di portare a casa una cifra che sfiora i 23 milioni. Oltre, appunto, ai 4-5 milioni ancora pendenti.
Le rinunce agli atti, firmate dai due indagati e indirizzate al presidente della Regione e al procuratore facente funzioni Roberto Rossi, sono state depositate negli scorsi giorni. Una parte dei 23 milioni è stata recuperata attraverso i sequestri della Finanza, che hanno colpito beni immobili e - in misura minore - anche denaro liquido. Ma il problema era appunto chiudere il rubinetto delle spese legali che, di cento euro in cento euro, ha drenato denaro pubblico fino a quando, nel maggio 2018, una denuncia di Emiliano ha fatto aprire l’inchiesta.
Quella andata avanti indisturbata per tre lustri potrebbe essere la più grande truffa mai scoperta ai danni della Regione. Un meccanismo costruito sull’indennità sostitutiva, il sussidio destinato agli agricoltori previsto da una legge del 1982: negli anni dal 1989 al 1993 non è stato pagato per mancanza di copertura finanziaria. Partendo dalle sentenze civili che in quegli anni hanno riconosciuto le somme dovute, gli avvocati hanno eseguito migliaia di pignoramenti - concessi dai giudici di pace di mezza Italia -, ciascuno per qualche centinaia di euro. In sede di esecuzione sono poi intervenuti come creditori, in proprio (facendosi rappresentare da un altro collega dello studio), chiedendo le competenze legali non pagate per qualcun altro dei decreti ingiuntivi: siccome quasi sempre il pignoramento originario risultava incapiente, il «giochino» (definizione del gip Abbattista) ricominciava per il recupero della somma non pagata e delle nuove spese legali. Basti dire che dal 2006 al 31 dicembre scorso, a fronte di 3,7 milioni di sorte capitale (l’indennità non pagata) la Regione ha tirato fuori 24,5 milioni di spese legali.
Le rinunce mettono fine a tutto questo, e aprono alla possibilità che i due legali possano proporre un patteggiamento. Insieme ad altre 21 persone rispondono, a vario titolo, di associazione per delinquere, truffa aggravata, falsificazione di firme e di domicilio, riciclaggio e autoriciclaggio, oltre che di corruzione in atti giudiziari e interruzione di pubblico servizio. L’inchiesta del procuratore Rossi e del pm Francesco Bretone (ora passato alla Procura generale: gli subentra la collega Desirèe Digeronimo) ha risolto un problema non da poco, anche grazie al capo dell’Avvocatura, Rossana Lanza, e agli uffici del Bilancio che hanno ricostruito il meccanismo. E che a gennaio hanno portato in Procura il tabulato della banca tesoriera con l’elenco di centinaia di pignoramenti pendenti effettuati dai due avvocati sui conti della Regione: sequestrati anche quelli. Probabilmente è stato il colpo di grazia.