Lotta al virus
L'allarme dei ristoratori pugliesi: «Finiremo in mano alla criminalità»
«Rischiamo di non riaprire, lo Stato ci deve aiutare»
La chiusura della Puglia da domani con la zona rossa mette in ginocchio il settore della ristorazione. I titolari di locali si interrogano su come poter sostenere le proprie attività e i redditi dei dipendenti, le cui cig arrivano dopo molti mesi. «Siamo chiusi dal 2 novembre perché non era possibile far quadrare i conti con le aperture solo a pranzo. A un anno dall’inizio della pandemia si doveva avere la pazienza di fare un lavoro certosino per sdoppiare i codici Ateco: ci sono ristoranti che hanno standard di sicurezza così elevati che sono più sicuri delle sale che del medico curante: chiudendo indiscriminatamente si equiparano baretti stracolmi con strutture di ristorazione di qualità»: questo il grido di dolore di Antonello Magistà, titolare del ristorante Pasha di Conversano, coordinatore della Federazione pubblici esercizi turistici di Confesercenti per il Barese. «Con la zona rossa ci spettano i ristori. Ma i nostri governanti devono confrontarsi con la realtà: pago un fitto - aggiunge Magistà - e ho dodici dipendenti. A gennaio, dopo due mesi e mezzo di chiusura, abbiamo pagato i sette dodicesimi ai dipendenti per la tredicesima. Paghiamo 450 euro al mese di bolletta, con consumi zero. Ormai dietro le saracinesche chiuse ci sono già le proposte di soccorso con capitali poco limpidi, con il rischio di infiltrazioni di clan. Di questo devono ragionare i politici, a cui il blocco dei licenziamenti giova. Nei fatti la cig è più bassa di un eventuale reddito di cittadinanza». Le soluzioni possibili? «Ci aspettiamo ristori immediati, ma ad oggi non abbiamo ancora il decreto. Speriamo che i parametri siano più realistici, ma le prime previsioni ci fanno pensare che saranno risorse insufficienti. Abbiamo bisogno di liquidità ora, non di crediti d’imposta».
Mimmo Ficarelli, titolare del ristorante La Vela di Torre a Mare: «Siamo arrabbiati. Non farò nemmeno domicilio: non c’è alcuna convenienza economica. Con il ricavato non pago nemmeno le maestranze e le materie prime, molte di queste deperibili. Ci ho rimesso molti soldi tentando la strada del delivery». Dal governo cosa si aspetta? «Nulla, sinceramente. Ci saranno nuovi ristori, speriamo siano rapidi e non legati a cali di fatturato poco comprensibili. I dipendenti sono sofferenti: la cassa integrazione che arriverà copre meno della metà della busta paga, senza tenere conto che i camerieri hanno l’introito delle mance». Anche in Valle d’Itria la musica è la stessa. Domenico Lopuzzo del ristorante Zia Rosa di Cisternino: «Viviamo il peggiore di tutti i disastri. A Natale ho ricevuto di ristoro duemila euro. Ora siamo chiusi a Pasqua: questa disposizione sarà bypassata dalle feste private, dove ci saranno riunioni e assembramenti, senza regole. Come è già successo per le festività natalizie. Paradossalmente ci sarebbe più sicurezza nei locali con il distanziato che non nelle case private».«Le racconto un aneddoto: un ristorante di nome in valle d’Itria ha chiuso e è in vendita per poche migliaia di euro una intera cucina, con elettrodomestici e pentole. Si va desertificando un intero settore», conclude Lopuzzo. Nicola Botta dell’omonima pizzeria di Madonella a Bari, fondata dal padre Angelo: «Con il rosso potremo fare consegne a domicilio e asporto. Ma gli incassi restano sempre del 25% rispetto allo standard del nostro settore. I miei dipendenti sono in cig: ricevono così una cifra che è la metà dello stipendio. Non subito, ma dopo due o tre mesi. Un disastro sociale. A noi converrebbe chiudere: spendiamo per le utenze e per le maestranze più di quanto incassiamo. Per questo abbiamo deciso di aprire solo dal giovedì alla domenica: ma solo il sabato copriamo le spese».
Carlo Barnaba, vicepresidente di Terranostra, sigla degli agriturismi di Coldiretti: «La zona rossa è un colpo al settore dell’agriturismo e della ristorazione. Non fare due Pasque di fila è dura: è a rischio la vitalità delle nostre aziende, nonché del settore agricolo. Avevamo piantato prodotti per rifornirci al fine di ospitare clienti. Adesso che faremo? Non possiamo vivere di provvidenze. Anche i dipendenti sono disperati. Molti sono a tempo determinato e non usufruiscono di cassa integrazione. Noi stiamo ancora aspettando i ristori governativi di dicembre, mentre quelli regionali sono in erogazione in questi giorni». «Il passaggio da giallo a rosso ci taglia le gambe», sentenzia Barnaba.