Università Bari studia vecchio farmaco diuretico: potrebbe essere nuova arma anti-Covid
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Massimiliano Scagliarini
09 Gennaio 2021
Il Pd di Lecce non ha titolo per «affiancare» Sergio Blasi nel ricorso al Tar che mira a far rivedere il procedimento di assegnazione dei seggi di lista. Michele Mazzarano, il tarantino che insieme a Ruggiero Mennea (Bat) rischia per questo l’elezione in Consiglio regionale, passa al contrattacco e chiede ai giudici amministrativi di escludere il partito provinciale dall’udienza di giovedì.
Tutti contro tutti dunque in vista della discussione dei sette ricorsi presentati contro i risultati delle Regionali di settembre. Tre, in sintesi, gli aspetti all’attenzione dei giudici amministrativi: il meccanismo di ripartizione dei seggi all’interno della lista Pd (sollevato da Blasi e dalla foggiana Teresa Cicolella), l’eliminazione dei voti delle liste che non hanno superato lo sbarramento del 4% dalla «cifra elettorale» (il totale dei voti) del centrosinistra, e infine il premio di maggioranza (27 o 29 seggi?). Temi intimamente collegati uno all’altro: l’eliminazione dei voti sotto il 4%, chiesta da Domenico De Santis (quarto in graduatoria a Bari), porterebbe a 19 i seggi del Pd (e dunque salverebbe Mennea) a danno di Popolari per Emiliano (un seggio in meno a Lecce, Pendinelli) e Con (uno in meno a Bari, Longo). La revisione del «premio», chiesta dal centrodestra e - in via subordinata - da De Santis, farebbe invece perdere due consiglieri al centrosinistra che vedrebbe così assottigliarsi a cinque voti il margine di maggioranza.
La questione dell’errore nell’attribuzione dei seggi del Pd è collegata al caso particolare che si è verificato in questa tornata. La legge dice che nell’assegnazione dei seggi del premio di maggioranza si utilizza la graduatoria decrescente dei resti (i voti che non hanno dato luogo all’assegnazione di seggi diretti) partendo dalla «prima circoscrizione alla quale non è stato ancora attribuito il seggio». Ovvero da Brindisi, che oltre a essere la «prima circoscrizione» indicata dalla norma, è anche l’unica che nel riparto proporzionale non aveva ottenuto nemmeno un seggo. Dunque l’Ufficio elettorale centrale, avendo rilevato che dopo Brindisi «tutti i posti della graduatoria [hanno] già dato luogo all’assegnazione dei seggi» (è la seconda parte del comma), ha fatto ripartire l’assegnazione dall’inizio della graduatoria dei resti (cioè da Bat, poi Taranto, poi Brindisi...). Le difese di Mazzarano e Mennea, ovviamente, condividono questa interpretazione. Tuttavia i seggi di Foggia, Lecce e Bari (due) in precedenza attribuiti al Pd vengono dalla ripartizione proporzionale (quella dei primi 23), e non dalla «graduatoria» dei resti che invece è stata utilizzata solo per i due seggi del Collegio unico regionale, Bat e Taranto, che sono le prime due province della «graduatoria»: ecco perché Blasi (avvocato Michele Laforgia) e Cicolella chiedono che dopo Brindisi si prosegua con Foggia-Lecce-Bari prima di esaurire la graduatoria e ripartire dalla Bat.
Se quanto chiedono Blasi e Cicolella fosse accolto, come detto, salterebbero Mazzarano e Mennea. Ma anche il consigliere barlettano (avvocato Nino Matassa) ha chiesto al Tar di eliminare dal totale del centrosinistra i voti delle liste che non hanno superato il 4% (come chiede De Santis e come era stato fatto anche nelle elezioni del 2015). Utilizzare il totale grezzo, secondo la difesa del consigliere barlettano, oltre a violare la legge «lede il principio proporzionale»: il Pd con il 57,9% dei voti di coalizione ha infatti ottenuto solo il 47,3% dei seggi, uno 10% regalato alle liste civiche Con e Popolari. Eliminando le liste del 4%, invece, il Pd risalirebbe a 19 seggi (cioè avrebbe esattamente il 57% dei seggi della maggioranza) e rientrerebbero sia De Santis che Mazzarano. Giovedì la parola al Tar di Bari.
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