L'INDAGINE
Boom del telelavoro a Bari e provincia
I dati sullo smart working dimostrano la grande diffusione della nuova modalità di svolgere le prestazioni professionali
Se lo smart working è la modalità lavorativa del futuro, almeno per chi svolge mansioni compatibili, si può affermare che la Puglia è senz’altro in pole position nella rivoluzione prossima ventura. Secondo i dati del Centro studi e dell'Area affari internazionali di Confindustria, il nostro territorio è tra quelli che meglio si sono adattati allo stravolgimento delle abitudini, tenendo conto che la prima in assoluto nella classifica è la Lombardia, la regione maggiormente colpita dall’epidemia da Covid-19. Se poi si aggiunge che il campione considerato dagli specialisti di viale dell’Astronomia, relativo alle sei province, è costituito per il 68% di aziende baresi, ne consegue che il capoluogo insieme con gli altri 40 Comuni del Barese può ritenersi davvero all’avanguardia. È stato stimato che a luglio oltre il 40 per cento dei lavoratori della provincia abbia operato fuori sede (in Puglia il 40,6%), una percentuale superiore al 36,6% di maggio (47,2% in presenza, 16,2% di inattivi), quando si era appena usciti dal lockdown.
SETTORI - Fino al 15 ottobre per i privati (salvo proroghe) e al 31 dicembre per il pubblico le cifre sono destinate a oscillare marginalmente rispetto alla situazione attuale, anche perché, sia pure con la graduale ripresa delle attività (molti sono ancora in Cig), non tutte le categorie possono alimentare il bacino degli smart worker. In generale, secondo Confindustria, i settori con il maggior numero di personale in lavoro agile rimangono i servizi di informazione e comunicazione (70,3%), le agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese (62,6%). Ad operare in sede, invece, sono in particolar modo i dipendenti del settore manifatturiero (72,7%), nel quale a presentare il più elevato numero di dipendenti da remoto resta l'elettronica (in calo però rispetto al mese di maggio). Per il resto, è ancora drammatica la situazione per i servizi di alloggio e ristorazione, che registrano nuovamente la più alta percentuale di dipendenti inattivi (87,7%).
EFFETTI - L’indagine (la quarta) di Confindustria, avviata l’8 luglio scorso e pubblicata il 3 agosto, consente anche di dare uno sguardo agli effetti a lungo termine del lockdown (continua ad aumentare il numero di aziende aperte, l’85,2% a luglio, rispetto al 73,8% di maggio). Innanzitutto, si è ridotto il numero dei dipendenti delle aziende intervistate che potrebbero dover ricorrere agli ammortizzatori sociali (Cigo, Fis eccetera): in provincia di Bari si è passati da circa il 20% a percentuali a una cifra. Inoltre, i danni economici registrati nel mese di giugno (rispetto a giugno 2019) sono stati per fortuna inferiori a quelli subiti in aprile. La riduzione del fatturato delle imprese, -43,8% ad aprile rispetto allo stesso mese del 2019, si è attestata sul -17,7% a giugno (in raffronto allo stesso periodo dell’anno precedente). Un miglioramento evidente c’è stato anche nel calcolo delle ore lavorate (dal -41,4% al -11,5%). Resta inteso che il grado di sofferenza è inversamente proporzionale alla dimensione delle imprese: quelle sotto i dieci dipendenti continuano a essere le più colpite. Curioso anche il dato del costo medio sostenuto per ciascun lavoratore a causa dell'applicazione dei protocolli sanitari (nel Barese siamo intorno ai 170 euro a testa).
SCELTE - Per reagire alla crisi le strategie introdotte più frequentemente dalle imprese sono state la riduzione dei costi fissi (scelta fatta dal 23,5%) e l’ampliamento dei target di mercato (17,9%). Risulta evidente però la richiesta alle istituzioni di un ulteriore sostegno con provvedimenti per facilitare l’accesso alla liquidità e al credito e per alleggerire la fiscalità (o perlomeno per procrastinare le scadenze, come poi è effettivamente successo col decreto Agosto). Inevitabile, infine, la richiesta di un prolungamento degli ammortizzatori sociali e di altre misure per rilanciare la domanda, tra cui emerge il bonus da spendere al bar e al ristorante (saltato) oppure per acquistare complementi d’arredo e calzature (sempre escluso). Quanto al «cashless», gli incentivi per i pagamenti con bancomat e carta di credito non piacciono però ai commercianti che temono - da Confcommercio a Confesercenti - un effetto boomerang in un periodo di incertezza. Come minimo bisognerà davvero ridurre i costi delle commissioni sui pagamenti Pos.