Il personaggio

Dagli Stati Generali l'imprenditore monopolitano Pertosa suona la carica: «Occorre sburocratizzare»

Roberto Calpista

Vito Pertosa, monopolitano, presidente del gruppo «Angel», ieri mattina ha partecipato, unico rappresentante del Sud, assieme ai vertici di altre grandi aziende italiane agli Stati generali a Villa Pamphilj a Roma, alla presenza del premier Giuseppe Conte.

Una prima impressione? Iniziativa positiva o perdita di tempo?

A me è piaciuta. Credo sia stato un momento di confronto e arricchimento per tutti. Spero anche per il Presidente del Consiglio.

Quindi non condivide la tesi delle opposizioni, e di qualcuno della maggioranza, che denunciano una «vetrina» politica che Conte si è costruito su misura?

Non condivido. E devo dire che sono in sintonia con quanto affermato anche dagli altri imprenditori presenti. Ci sono stati spunti di riflessione molto interessanti per l’economia del Paese, per la aziende, per l’occupazione. Naturalmente adesso verificheremo quanto in concreto verrà fatto, cosa accadrà.

Appunto tirando le somme lei cosa vede?

Noi abbiamo fatto riflessioni sull’attuale situazione che è sì legata all’emergenza Covid, ma aggravata da mali che l’Italia si porta dietro da decenni. Le somme le deve tirare il governo.

Si riferisce alla burocrazia ormai «leggendaria»?

È un problema incredibile e non solo per gli imprenditori. Tutti lo vogliono risolvere, a parole, ma nessuno finora c’è mai riuscito. Spero che l’emergenza Covid abbia insegnato almeno che senza un cambio di passo non si va da nessuna parte. È come se l’Italia avesse un freno tirato, un freno che occorre togliere, ma non dimentichi che la nostra giurisprudenza è tra le più complesse al mondo. Mi rendo conto che è facile a dirsi, ma difficile a farsi, e per questo anche piccoli segnali sarebbero i benvenuti.

Lei è tra i fautori della necessità di «traghettare» le piccole e medie imprese più a livello delle medie imprese. Ma le aziende crescono anche se le leggi lo permettono. Cosa farebbe subito?

Pensi al tempo determinato, ora fermo al livello massimo di due anni. In tempi quali gli attuali, scaduti tali termini le Pmi sono costrette a licenziare, non potendo rinnovare i contratti di lavoro. Oltretutto con costi aggiuntivi per lo Stato che deve mettere mano al contributo di disoccupazione e con il rischio reale che poi tali rapporti di lavoro diventino «in nero». Per questo ho suggerito al governo la necessità di portare a tre gli anni del tempo determinato e di unirli ad un’attenta politica di decontribuzione. Gli altri imprenditori presenti hanno condiviso la proposta, ma vedremo se si potrà attuare. Tenga presente che l’80% della forza lavoro è nelle Pmi, quindici milioni di addetti.

Agli Stati generali si parla tanto di innovazione e «green». Lei che è un imprenditore che innova realmente, non crede siano termini troppo abusati dalla politica, soprattutto quando non sa che pesci prendere?

Sono d’accordo. Semplificare la ricerca tecnica e scientifica è bellissimo, ma in questo momento la scienza massima è riuscire a fare una pratica per un finanziamento, una missione spesso impossibile proprio per le regole europee. Anche se in questo senso la Puglia è un esempio virtuoso. Eppure con l’industria 4.0 o il credito di imposta di cose se ne sono fatte. Servono formule fruibili e veloci. 

Poi ci sono decine di migliaia di persone che attendono ancora la Cig. Non teme una deriva sociale?

L’Inps ha fatto male e serve rivedere tutta la materia. Molti imprenditori hanno anticipato la Cig e reintegrato la differenza, pagando pure le tasse su queste somme.

Non capisco se a lei questo governo giallorosso piace o no?

Gli imprenditori devono essere pragmatici, creano benessere diffuso e occupazione: a noi piace un governo che porti risultati tangibili a prescindere dal colore politico. Chiunque ci sia, bisogna fare il tifo perché le cose vadano bene. Poi ci sono sempre le elezioni, nel caso, per cambiare le carte in tavola.

Di recente  alla presenza del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro ha sottoscritto l’accordo commerciale che regola i rapporti, nella fase di industrializzazione e commercializzazione del programma PLATiNO. Un successo italiano?

Un altro passo importante, che dimostra finalmente come una nuova attenzione del governo all’industria di proprietà italiana, possa garantire sia l’alta tecnologia che un’occupazione che cresce e si preserva nel tempo. Per i tedeschi e francesi noi siamo periferia, quando le loro cose vanno male, abbassano per prime le saracinesche delle periferie. Ma così non va, anche perché l’Italia ha un sistema industriale di prim’ordine. Occorre tutelarlo. 

Lei si sente europeista convinto? 
Io dico sempre: «I clienti e i parenti non si scelgono». Ma l’Europa in questo momento sembra stia facendo le cose per bene e per l’Italia ci possono essere ottime opportunità. Comprendo lo scetticismo degli Stati del Nord, spesso i soldi arrivati non sono stati spesi bene e spesso non sono stati spesi affatto, ma anche a Bruxelles è necessaria una profonda azione di sburocratizzazione.

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