Ostaggi Selvaggi

Gianni Alemanno: «Serve un impegno Fitto in Puglia. La Lega non insista con dispetti suicidi»

Alberto Selvaggi

Dal grande passato nella destra all’attuale metapolitica. Interventi su «Qelsi», in libreria il suo «Sovranismo», pronto un nuovo saggio

Mi chiedo se sia ancora il caso, onorevole Gianni Alemanno, chiamarsi camerati, per non parlare dei compagni.

«Direi che siamo fuor d’opera. Direi che stiamo andando fuori tema già. Posso risponderle solamente così: chi vuol chiamare e farsi chiamare camerata compie una scelta privata. Attiene a qualcosa di personale, non alla consuetudine del momento storico».

Mi riferivo al fatto che tutto, in generale, ha perduto forma nel suo significato.

«Ognuno decide dalle sue prospettive».

La abbiamo vista in foto su Facebook, bardato in pelle in sella su una motorazza, assieme alla sua giovane compagna Silvia Cirocchi, giornalista, avvocato.

«La moto è una mia passione fin da ragazzo. Ho guidato le classiche giapponesi che andavano fra gli anni Settanta e gli Ottanta. Quella che ha visto è una Yamaha F8X, me l’hanno regalata gli amici per i miei 60 anni. Mentre per i 50 mi fecero trovare una Honda Hornet 600, troppo leggera per me però, che prediligo il touring: sono stato in Scozia, in Spagna, sui luoghi del mio passato politico. È qualcosa che ho nel sangue come la montagna».

Capo spedizione onorario nella scalata sul K2 per il cinquantenario della conquista italiana; come «Meditazioni delle vette», mica male.

«Il 2 giugno scorso è stata la prima volta in cui sono uscito dopo la pandemia. Gita che ho voluto condividere con le immagini. I social nel mio ruolo sono importanti per mantenere un contatto con la comunità».

Tuttavia quegli scatti mi hanno fatto pensare un po’ a Gianfranco Fini con l’ancora pimpante Elisabetta Tulliani paparazzati al mare.

«Beh, questo parallelismo non mi sembra fondato. Non c’entra molto, sa? Tanto per incominciare, Fini ha virato a sinistra, mentre io sono andato ancora più a destra, se vogliamo. Ho pubblicato volontariamente quelle foto, ho un’ex moglie, Isabella Rauti, e ora...».

Quanto somiglia al padre Pino Rauti, gigante della destra sociale che l’ha ispirata.

«E rimane un maestro per me, assolutamente, come Giano Accame e Beppe Niccolai».

Niccolai venne a Bari con l’indimenticato Pino Tosca a rendere onore a Berto Ricci, fascista eretico, maestro idealizzato di Indro Montanelli, che riposa nel Sacrario dei Caduti Oltremare. Michele De Feudis gli ha dedicato un saggio illuminante: «L’Universale. Contributi per un’atmosfera».

«Io a Bari sono nato ma ho ascendenze più che altro salentine. Mio padre, generale dell’Esercito, era di Monteroni, dove è la cappella mortuaria, mia madre Teresa, 92 anni, di Gallipoli. Perciò trascorro sempre un certo periodo dell’estate là, dove ho parenti e amici ma nessuna casa di proprietà. Ho lasciato la Puglia da ragazzino, a Roma in particolare mi sono formato, ma mi permetto di chiamarla ancora la mia regione».

Non voglio immaginare che cosa penserà quindi del nuovo pateracchio pugliastro elettorale intrecciato a quello campano. Fare Fronte come un tempo pare complicato.
«E che cosa pensa potrei pensarne mai io? Male, malissimo: sono esterrefatto, preoccupato. Non riesco a capire, davvero».

E si chiede «Come mai», hit di SottoFasciaSemplice, magari.

«Mi rispondo che esistono degli aspetti che dallo stesso schieramento politico noi non sappiamo tradurre. Abbiamo Giorgia Meloni, che è il miglior leader che possa esistere per il centrodestra. Fratelli d’Italia, di cui faccio parte. Abbiamo anche il miglior candidato alle elezioni regionali pugliesi, che è Raffaele Fitto, e se non lui, non vedo chi altri. Considero Matteo Salvini un politico dotato, un alleato. E per questo non vedo per quale motivo adesso si mettano di traverso, interponendo il nome di Nuccio Altieri, loro candidato. Nella Lega sussiste da sempre qualcosa di inspiegabile».

Beh, uno con il suo curriculum, cariche giovanili, deputato, ministro incensato da Massimo D’Alema financo, sindaco di Roma e quant’altro, magari un’idea se la sarà fatta.

«Guardi, l’unica certezza che mi resta è che credo fermamente nel nome vincente di Fitto, non soltanto per la sua notorietà, ma per l’esperienza maturata come presidente di Regione, poi in campo italiano, europeo. Esorto pertanto la Lega a sospendere queste azioni dettate da una volontà di dispetto: di dispetto, sì. Perché non esiste un’alternativa a Fitto, con il quale sono certo che vinciamo. Qualsiasi altro nome ci porterebbe al risultato contrario».

Magari se lei non si fosse dimesso, secondo costume per nulla italiano, da tutte le cariche causa problemi giudiziari, avrebbe potuto «Cavalcare la tigre» secondo necessità.

«Ho scelto di mettermi in stand-by».

Dio sa se è stato travolto dalla Grande Bellezza di Roma Capitale, o ha soltanto incespicato. È la legge norrena dell’Anello, lo sa.

«Sono stato il primo e unico sindaco di destra e chiunque sia di destra viene pregiudizialmente attaccato. Le principali accuse, come dagli atti, sono cadute completamente, una dopo l’altra, talvolta su richiesta dell’accusa stessa, archiviate. Tanto che oggi, anche grazie alle performance dei miei successori Marino e Raggi, vado a testa alta e il mio gradimento romano sale. Ma finché non risulterò, e così sarà, totalmente estraneo nel minimo risvolto giudiziario, svolgerò attività metapolitica e basta».

Si ricorda quando da ragazzo invece la denunciavano perché manifestava? Alemanno arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, Alemanno rintuzza l’aggressione dei compagni, Alemanno accusato, e poi prosciolto come in tutti gli altri casi, dell’assalto all’ambasciata sovietica.

«Non mi fermo su ciò che è stato. Perfino durante la clausura per la pandemia, a Roma, sono andato sempre avanti studiando, intervenendo tramite il web, scrivendo tanto. Ho completato un nuovo libro, Identità comunità e sovranità, tre pilastri. Non è indispensabile uscire dall’Europa, ma è necessario affermarsi, schiena dritta, sulla base di un movimento di indipendenza nazionale. Anche oggi sul coronavirus stiamo pagando. Ci prendono in giro con misure inadeguate. E mi pare importante seguire la sponda del presidente Donald Trump».

Oggi lei che fa?

«Seguo le mie vicende con il loro carico, gravoso in ogni senso. Intervengo nel dibattito, scrivo per Qelsi, Quotidiano Sovranista online».

Come il mensile in edicola, «Il Primato Nazionale».

«Beh, io aderisco a una visione sovranista. Ho pubblicato Sovranismo – Le radici e il progetto».

«Le radici e il progetto» fu pure il libro in cui ipotizzava una destra fuori dal ghetto, in tempi di emarginazione totale.

«Infatti è in nesso con quest’ultimo saggio».

Campi Hobbit, ecologismo di ricerca, coltivazioni biologiche, il «no Ogm», volontariato, dialogo con i musulmani, Zen meditazione: quante ne ha fatte.

«Ero su posizioni differenti da Giuseppe Tatarella, si sa, pur ammirando il suo genio politico straordinario. Con i figli e la fondazione sono sempre in contatto, come con il figlio di Tosca, a Modugno, Davide».

E quando ancora si piangeva «Piccolo Attila», eroe anticomunista che in musica si canta, lei azzardò addirittura un’alleanza fra Comunione e liberazione e Azione studentesca, che come simbolo aveva la croce celtica. Svolta di Fiuggi antesignana.

«No, era bretone, la celtica la porto al collo io nel suo senso spirituale».

Ho fallato ancora; come magra non è male.

«Ci sono tante croci a questo mondo e lei lo sa».

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