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Tumori, screening senologico personalizzato: Lilt promuove il progetto Ue

 
Daniele Amoruso

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Daniele Amoruso

Tumori, screening senologico personalizzato: Lilt promuove il progetto Ue

Considerati quattro livelli di rischio per diverse tipologie di controlli, ravvicinati o biennali, a tutti i soggetti dopo i 40 anni

Martedì 25 Febbraio 2020, 17:58

Lo screening dei tumori del seno si aggiorna. Dopo 30 anni il controllo senologico di prevenzione diventa personalizzato. Le donne non sono tutte uguali. Il profilo genico individuale, la familiarità, le terapie ormonali, lo stile di vita e la conformazione del seno rendono ogni donna unica. Per questo l’attuale procedura appare inadeguata. Anzi, decisamente vecchia.

I modelli di screening hanno finora allineato le donne senza fare distinzioni. Scadenze uguali per tutte, esami uguali per tutte. Ma le differenze nella popolazione femminile sono enormi.

Il Progetto “MyPeBS” (My Personal Breast Screening), finanziato dalla Comunità Europea con 12,5 milioni di Euro, introduce la possibilità di definire con esattezza l’identikit personale del rischio, stabilendo quattro diversi percorsi di prevenzione e diagnosi precoce.

MyPeBS è nato sulla base dei risultati di otto grandi studi randomizzati e sta per arruolare 85 mila donne in Francia, Belgio, Regno Unito, Italia e Israele con un obiettivo preciso, quello di individuare il cancro al seno il più presto possibile. È una straordinaria occasione per migliorare i benefici dell’approccio tradizionale (grazie al quale peraltro la mortalità è stata già ridotta del 20%). Ma le Regioni italiane del centro-sud non hanno ancora raccolto l’invito. Anche la Puglia è fuori.

A scendere ufficialmente in campo ora è la LILT, la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, che ha condiviso il razionale scientifico, gli obiettivi e il modello organizzativo dell’avanzato Progetto.

«Il nuovo screening proposto dall’Unione Europea - spiega il prof. Francesco Schittulli, Presidente nazionale della LILT - rappresenta la frontiera più avanzata per la prevenzione e diagnosi precoce dei tumori del seno, non solo perché integra tutte le tecniche di indagine più moderne, dalla mammografia con tomosintesi alla risonanza magnetica alle biopsie stereotassiche 3D, ma perché personalizza i percorsi diagnostici in base a quattro differenziati livelli di rischio.»

Lo studio metterà a confronto l’attuale strategia standard di screening mammografico con una strategia personalizzata, che esamina le donne con un alto rischio di cancro al seno con maggiore frequenza, e le donne con rischio più basso con minore frequenza.

Il primo step è un test salivare grazie al quale viene tracciato innanzitutto il profilo genico di ogni donna che aderisce allo screening MyPeBS. È l’esame che consente di individuare eventuali polimorfismi associati alla comparsa di neoplasie del seno. Successivamente tutte le informazioni sulla familiarità di malattia, sull’esposizione a ormoni e sulle caratteristiche radiologiche dell’organo, consentono una classificazione più esatta del rischio individuale e un più appropriato percorso diagnostico di prevenzione.

«In questi anni abbiamo dovuto constatare che, effettuando una mammografia ogni due anni a partire dai 50 anni, non raggiungiamo un risultato ottimale. Certo, con lo screening tradizionale la mortalità si è ridotta, ma non abbastanza. Non poche volte scopriamo tumori in fase già avanzata. Il nostro obiettivo è dunque spostare il traguardo, in modo da diagnosticare neoplasie iniziali, sempre più piccole. Così potremo ottenere guarigioni definitive, in percentuali sempre più alte, vicine al 100%.»

«Se arriviamo a scoprire un tumore di pochi millimetri - continua lo Specialista, che sin dagli anni ’80 si è impegnato nelle Campagne di prevenzione senologica a fianco al prof. Umberto Veronesi, - quel tumore ha un indice di malignità, di aggressività, molto basso. Abbiamo perciò bisogno di mettere in campo tutta l’innovazione tecnologica di cui disponiamo. A partire da quelle indagini rapide sul DNA, che ci permettono di individuare le donne più a rischio per indagarle con le apparecchiature più moderne: dall’ecografia con elastosonografia, alla tomosintesi, alla mammografia con mezzo di contrasto e alla risonanza magnetica (ancora troppo poco utilizzata).»

Nel 2020 un tumore al seno sarà diagnosticato a 53 mila donne italiane (3.200 in Puglia). Questo numero, sempre più elevato, non corrisponde però al totale della popolazione effettivamente ammalata. Molti casi sfuggono alle indagini e vengono diagnosticati con anni di ritardo, semplicemente perché il sistema di controllo biennale, che parte soltanto al compimento dei 50 anni, è troppo rigido e trascura colpevolmente molte donne ad alto rischio che hanno bisogno di controlli più ravvicinati, a partire da un decennio prima: dai 40 anni in poi.

«È con questa consapevolezza - dichiara il prof. Schittulli - che la LILT si è impegnata nel sostegno al Progetto Europeo MyPeBS. La popolazione femminile ha bisogno di uno screening personalizzato. Il vecchio sistema è inadeguato. Tutte le Regioni settentrionali, la Toscana e l’Emilia Romagna hanno subito aderito. Dispiace invece che il Sud non abbia risposto. Ora farò di tutto affinché anche la Puglia possa partecipare a questo studio. Naturalmente, come Responsabile della Breast Unit della Mater Dei Hospital cercherò di essere presente.»

Al vecchio screening ha aderito in fondo solo una minoranza di donne pugliesi, perché troppo burocratico, spersonalizzato e poco rassicurante, con i suoi controlli biennali riservati esclusivamente alla fascia tra i 50 e i 69 anni. L’invito spedito a casa dalle ASL pugliesi è stato sistematicamente ignorato, perché quasi sempre coincidente con i controlli volontari, ritenuti più sicuri e attenti alle esigenze personali.

Forse anche a causa di questo fallimento, nel Sud la mortalità oncologica è più alta rispetto alle Regioni settentrionali. La sopravvivenza media a cinque anni delle donne colpite da un tumore al seno in Italia è dell’87%. In Emilia Romagna si ottiene il risultato migliore (89%), con uno screening che inizia a 45 anni. In Puglia la sopravvivenza raggiunge appena l’85%. Ottocentosessantasei donne pugliesi sono decedute nel 2019 per un tumore al seno. Siamo certi che molte di loro non avrebbero potuto essere salvate?

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