BARI - Le delibere della commissione di garanzia sono state notificate ieri mattina. E, come previsto, dispongono l’espulsione dal Pd pugliese dei quattro consiglieri regionali accusati di non aver versato i contributi. Una decisione che ha scatenato la bufera, nonostante la sanzione sia sospesa e quindi si tratti in realtà più di un sollecito di pagamento che di una sentenza. Ma un presidente del Consiglio (Mario Loizzo), un assessore (Raffaele Piemontese) e due consiglieri (Donato Pentassuglia e Anita Maurodinoia) buttati fuori dal partito, ovviamente, non sono un bello spettacolo e non l’hanno presa bene.
Piemontese, infatti, è molto arrabbiato: «Contesto le modalità - dice - e contesto il merito, perché farci finire sulla “Gazzetta” per non aver pagato è quantomeno ingeneroso». L’assessore foggiano ha diffuso il verbale della sua audizione davanti alla Commissione di garanzia, in cui è spiegata la vicenda che lo riguarda e che lo vede moroso di 6.000 euro. Il partito prevede un contributo di 500 euro per i consiglieri e di 700 per gli assessori, cosa che Piemontese inizialmente ha fatto: «A giugno 2017 ho appreso da un funzionario del Consiglio che, a differenza delle scorse legislature, la retribuzione degli assessori regionali è uguale a quella dei consiglieri, quindi la differenziazione del contributo decisa due anni prima non era, a mio avviso, corretta. Ho informato il capogruppo che da quel mese avrei versato la stessa somma dei consiglieri, e che sarei stato disposto a versare una percentuale dell’indennità ma uguale per tutti». Fin qui la parte tecnica. Poi c’è quella politica. «Ho chiesto al segretario Lacarra - racconta l’assessore - di affrontare il tema in una direzione regionale del partito, così da discuterne. Ma in due anni non è mai stato possibile: questa, a mio modo di vedere, è ignavia».
Nella lista dei morosi al primo posto c’è il consigliere tarantino Pentassuglia con 14.800 euro. Nemmeno lui l’ha presa bene: si è difeso spiegando di aver contribuito al sostentamento dei circoli del suo territorio, ma gli è stato risposto che lo statuto obbliga a versare alla segreteria regionale del partito. Il presidente Mario Loizzo, cui vengono richiesti circa 3mila euro, è più o meno in condizione simile: per un periodo ha versato 300 euro e non 500 perché la differenza ha coperto il fitto della sede di Sannicandro di Bari, e ora ha ripreso a versare la stessa cifra. Maurodinoia, che dopo essere subentrata a Lacarra (eletto deputato) ha aderito al gruppo Pd, si è dichiarata indipendente e deve (dovrebbe) 6mila euro.
Ieri Loizzo ha fatto notare che, statuto e regolamento alla mano, la sanzione prevista per chi non è in regola con i contributi non è l’espulsione dal partito ma il divieto ad ottenere la candidatura in lista. A quanto sembra, peraltro, Loizzo potrebbe ricandidarsi alle Regionali sotto le insegne di una delle civiche del governatore Michele Emiliano. Stesso discorso anche per Maurodinoia, su cui nelle scorse settimane si è aperto un dibattito per il suo status di imputata per corruzione: un rigurgito di legalità a scoppio ritardato, visto che lo status di «lady preferenze» era lo stesso anche quando è stata ammessa nel gruppo regionale Pd. Più probabile che, in una situazione di grande incertezza politica, gli avversari interni preferiscano tenere fuori dalle liste due pesi massimi delle urne come Loizzo e la consigliera di Triggiano. Quest’ultima, peraltro, agisce ormai in autonomia: dall’emendamento all’assestamento che stava per far saltare le gare del trasporto pubblico locale, fino all’astensione che martedì in commissione ha mandato «sotto» la giunta nell’esame del previsionale.
Il caos contributi nel Pd nasce dal mancato pagamento degli stipendi ai tre dipendenti della segreteria regionale, che hanno ottenuto un decreto ingiuntivo con cui hanno pignorato il conto del partito. Una situazione che sta creando difficoltà all’attività politica (servono 9-10mila euro al mese solo per fare fronte all’ordinaria amministrazione), aggravata anche dalle defezioni. Il tesoriere nominato a luglio dello scorso anno, Alessandro De Benedictis, ha lasciato il partito per aderire a Italia Viva. E anche per questo Lacarra ha dovuto mettere il caso nelle mani della commissione di garanzia.