eredità atomica

Bonifiche nucleari apulo-lucane: stesso problema, velocità diverse

Marisa Ingrosso

Ecco il Programma nazionale. Deposito scorie, servono 2,5 miliardi

Con il consueto ritardo di più anni, lo scorso 11 dicembre, l’Italia ha fatto un passetto in più per mettersi alla pari con gli altri Paesi europei per la gestione sicura (e trasparente) del patrimonio nucleare che si trova ancora nelle centrali atomiche, negli impianti di riprocessamento e rifabbricazione (come l’Itrec che sta in Basilicata, a 108 chilometri in linea d’aria da Bari e 78 da Taranto) e nei depositi (come quello tarantino di Statte). Proprio mercoledì scorso, infatti, è stato pubblicato in Gazzetta il Dpcm relativo alla «Definizione del Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi». Il testo recepisce la direttiva 70 del 2011 dell’Euratom che mira a istituire un quadro comunitario per la gestione sia dei rifiuti radiotossici sia del combustibile nucleare esaurito, cioè quello che era destinato o è stato fisicamente usato nelle centrali atomiche di Trino Vercellese (Piemonte), Caorso (Emilia-Romagna), Latina (Lazio) e Garigliano (Campania) per produrre energia elettrica ma è ancora zeppo di prodotti fissili oppure anche, come nel caso della vicina Basilicata, del combustibile nucleare importato dall’America (dalla centrale di Elk River) per fare esperimenti. In quest’ultimo caso, lo ricordiamo, le 64 barre ad alta attività sono ancora lì, in attesa, da decenni, di essere messe definitivamente in sicurezza.

il depositoCome richiesto dalla direttiva Euratom del 2011 ogni Stato membro doveva tradurre le proprie politiche nazionali in un «Programma nazionale» ed esso è ora consultabile sul sito del ministero dell’Ambiente. Circa i costi ricorda che la Società Gestione Impianti Nucleari (la Sogin è la Spa di Stato che ha l’incarico di smantellare il patrimonio nucleare italiano) prevede di spendere 7,2 miliardi per dismettere centrali e impianti. Somma cui bisogna aggiungere almeno un paio di miliardi per costruire il «cimitero» nucleare d’Italia, quel Deposito nazionale per il materiale a bassa e media attività che temporaneamente (temporaneamente per almeno 50 anni!) ospiterà anche i veleni più pericolosi, cioè i materiali ad alta attività e lunga vita.

Per la precisione: 650 milioni servono «per la localizzazione, la progettazione e la costruzione del Deposito», 700 milioni «per le infrastrutture», 150 milioni per il «Parco Tecnologico». Ma a «questi investimenti si stima in aggiunta circa 1 miliardo di euro per progetti di ricerca».

Nucleare apulo-lucano Nel Programma c’è anche un elenco di (quasi) tutte le sostanze radiotossiche presenti in Italia al 31 dicembre 2016. Un elenco utile perché, se paragonato a quello - al 31 dicembre 2017 - fatto dall’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), consente di misurare come, in due anni, le cose siano cambiate, di come vanno le bonifiche che gli italiani pagano ogni bimestre in bolletta elettrica.

Per esempio, quanto alla Basilicata, nel Programma è scritto che - al 31/12/2016 c’erano rifiuti per 273.389,96 Gbq (il becquerel o Bq, è l’unità di misura dell’attività di un radionuclide; il GBq indica i miliardi di becquerel) e combustibile nucleare per 1.599 Tbq (il Tera becquerel indica migliaia di miliardi).

Dopo un anno di lavori, l’«Inventario nazionale dei rifiuti radioattivi» dell’Isin, riferiva che in Basilicata ci sono rifiuti per 267.007 Tbq e combustibile nucleare per 1.562 Tbq.

Per altro, il Programma ricorda che i 64 elementi di combustibile Elk River dovrà essere «stoccato a secco in cask “dual purpose” TN24 ER (licenziati sia per il trasporto sia per lo stoccaggio) in un apposito deposito temporaneo sul sito di Rotondella (Matera) in attesa di essere trasportato e immagazzinato, a titolo provvisorio di lunga durata, presso il Deposito nazionale».

Passando invece alla Puglia nel Programma è scritto che nel deposito ex-Cemerad di Statte c’erano 1.139,30 metri cubi di rifiuti radiotossici: di bassa attività per 53,56 Giga becquerel ; di attività molto bassa per 21,02 Gbq; di media attività per 18.22 Gbq. Per un totale di 92,80 Gbq.

L’anno dopo, l’Inventario dell’Isin riportava 1.007 metri cubi di «rifiuti radioattivi» pari a 37 miliardi di Becquerel. Una diminuzione che forse è merito della bonifica avviata da Vera Corbelli (dal 2014 e in proroga fino a luglio 2020, Commissario Straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto).

nucleare militare, bocche cuciteAncora una volta, gli italiani pur informati ufficialmente, di aver contribuito di tasca propria a creare un patrimonio nucleare militare, non possono sapere alcunché del materiale presente sullo Stivale. Per esempio, il Programma spiega che a San Piero a Grado (Pisa), «è presente anche un’installazione nucleare appartenente all’Amministrazione della Difesa. Si tratta del reattore nucleare di ricerca RTS1 “Galileo Galilei” del Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari (CISAM) che è stato spento definitivamente nel 1980 ed è attualmente in fase di decommissioning (smantellamento; ndr). I rifiuti radioattivi, le sorgenti sigillate dismesse e il combustibile irraggiato derivanti dall’esercizio di tale installazione non sono contemplati nel presente Programma» perché gli obblighi della direttiva Euratom valgono solo per i materiali che «da attività civili». Resta da chiarire se questo materiale «segreto» finirà poi nel Deposito.

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