BARI - La valanga di pignoramenti per l’indennità agricola compensativa non si è fermata. Nonostante l’avvio dell’inchiesta della Procura di Bari che conta già una decina di indagati, la Regione continua a ricevere decine o centinaia di atti che risalgono a sentenze di trent’anni fa. Piccole cifre che, moltiplicate migliaia di volte, hanno portato finora a pagare 23 milioni di euro di sole spese legali.
Ecco perché negli scorsi giorni, dopo la denuncia dello scorso anno che ha portato all’apertura del fascicolo affidato al procuratore aggiunto Roberto Rossi e al pm Francesco Bretone, l’avvocatura regionale guidata da Rossana Lanza ha presentato un nuovo esposto. Nel mirino sono infatti finiti alcuni episodi tutti riconducibili a uno stesso legale, uno dei professionisti che fu tra i primi - intorno a metà degli Anni ‘90 - a interessarsi alla questione dell’indennità compensativa. Si tratta di centinaia di pignoramenti presso terzi che il legale ha notificato a Intesa San Paolo, l’istituto tesoriere della Regione, innescando il procedimento amministrativo di regolarizzazione: quando arriva un atto esecutivo, la banca - su ordine del giudice - paga il creditore e chiede alla Regione di «rimettere a posto» i conti correnti.
La stranezza starebbe appunto nel fatto che - parliamo di una sorte capitale fatta di piccole cifre, qualche centinaio di euro che lievitano per effetto delle spese -, quando viene eseguito il pignoramento nei confronti della Regione il giudice di pace dichiara sempre l’«incapienza», consentendo al creditore di agire una seconda o anche una terza volta per recuperare il resto della somma. Una stranezza, perché i conti di cui parliamo hanno saldi a nove zeri. In questo modo negli ultimi due anni, con centinaia di atti tutti a firma dello stesso legale, sarebbero stati pagati centinaia di migliaia di euro.
L’indennità compensativa fu introdotta nel 1982 con una legge regionale che erogava a favore degli agricoltori «in zone svantaggiate» i fondi della allora Comunità Europea. Dal 1989 al 1993 il meccanismo si è inceppato per mancanza di risorse, e così migliaia di persone hanno fatto causa, tanto da indurre la Regione (nel 2000) ad approvare una legge di sanatoria. Ma non tutti hanno aderito, qualcuno ha preferito coltivare le cause partendo dalla prima sentenza con cui il pretore di Bari nel 1996 condannò la Regione a pagare il dovuto oltre le spese legali. Negli anni nessuno era in grado di tenere traccia nemmeno delle sentenze, con l’ente che spesso pagava due volte o pagava solo le spese e non la sorte capitale, consentendo agli avvocati di presentare un secondo decreto ingiuntivo e magari un terzo o un quarto, sempre partendo dalla stessa condanna.
La prima fase dell’inchiesta è sfociata, esattamente un anno fa, in un blitz della Finanza in alcuni studi legali. La Procura contesta a vario titolo le ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla truffa, falso ideologico e materiale, autoriciclaggio e corruzione in atti giudiziari. Al vertice dell’associazione - sempre secondo l’accusa - ci sarebbero gli avvocati Michele Primavera, 58 anni, di Bitonto, residente in Svizzera, e il collega Oronzo Panebianco, 48 anni, di Bari. In questi mesi la Procura di Bari ha fatto eseguire una serie di perizie sugli atti finiti nel mirino, nonché una serie consulenze giuridiche e contabili per smontare il meccanismo e analizzarne la legittimità e per tentare di intercettare il flusso dei milioni pagati agli avvocati.