La nuova inchiesta

Xylella, l'epidemia era nota prima del 2013: nuove accuse ai ricercatori

Massimiliano Scagliarini

I dettagli di uno stralcio del fascicolo archiviato dal gip di Lecce ma trasmesso a Bari per indagare su altri filoni

BARI - Le tre documentazioni che attestano come avvenuto nell’ottobre del 2013 il ritrovamento in Salento del batterio degli ulivi «risultano tardive non solo con riferimento all’emergere del fenomeno del disseccamento ma anche del ritrovamento nel territorio del batterio della Xylella». È anche per questo che la Procura di Lecce ha trasmesso a Bari, con l’ipotesi di falso in atto pubblico, uno stralcio dell’indagine condotta dalla Forestale e che nei giorni scorsi è stata archiviata.

Oltre al «giallo» dell’importazione dei campioni di Xylella allo Iam di Valenzano nel 2010 (l’ipotesi è che siano state falsificate le autorizzazioni), c’è infatti anche la questione della data ufficiale della «scoperta» del batterio quale responsabili del disseccamento degli ulivi. La tesi della Forestale è che alcuni ricercatori (Vito Nicola Savino e Franco Nigro dell’Università di Bari, Donato Boscia e Maria Saponari del Cnr) abbiano ritardato la comunicazione del ritrovamento. L’ipotesi è che «il ritardo sia, con alta probabilità, collegato alla necessità per i laboratori collegati alla rete Selge di munirsi dell'accreditamento necessario alla manipolazione del batterio».

In questo senso, l’inchiesta valorizza il contenuto di alcune mail sequestrate nei computer degli scienziati, mail che proverebbero - sempre nella tesi di accusa - il fatto che la presenza di Xylella fosse comunque già nota, tanto che su una rivista scientifica edita dal Dipartimento scienze del suolo dell’Università di Bari era stata pubblicata una «disease note» in data precedente all’invio della comunicazione all’Osservatorio fitopatologico della Regione. Uno dei ricercatori si è difeso dicendo che prima della comunicazione ufficiale era necessaria una «validazione» del risultato attraverso la pubblicazione su una rivista scientifica: «Data l’urgenza e l'importanza dell’argomento, invece che muoversi attraverso una pubblicazione che avrebbe richiesto un’opera di refeeraggio (la verifica del contenuto da parte di esperti anonimi, ndr) e quindi avrebbe protratto i tempi, si è preferito agire attraverso una nota sulla rivista sopra indicata». Ma la rivista era pubblicata dagli stessi scienziati che hanno redatto la nota e dunque, per la Forestale, una validazione fatta in questo modo sarebbe «meramente pretestuosa».

L’indagine ritiene insomma che i ricercatori di Università di Bari e Cnr sapessero del disseccamento - e probabilmente anche delle sue cause - almeno dal 2011, quando era stata concessa dal ministero della Salute una deroga straordinaria per l’utilizzo sugli alberi di un prodotto ritenuto «nocivo» e «pericoloso per l’ambiente» con l’obiettivo di sperimentarlo come possibile rimedio per «la lebbra dell’ulivo».

Va ricordato che in merito all’accusa principale mossa agli scienziati (quella di aver contribuito alla diffusione della Xylella) è stata la stessa Procura di Lecce a chiedere e ottenere l’archiviazione. Anche le ipotesi di falso ideologico, tutte comunque molto vicine alla prescrizione, andranno eventualmente provate e sottoposte al vaglio di un giudice, soprattutto perché sottendono un’accusa molto grave: aver nascosto l’esistenza della malattia con il «secondo fine» di avvantaggiarsene per ottenere finanziamenti destinati alla ricerca. Accusa che tutti gli scienziati coinvolti respingono fermamente. 

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