Assolti in via definitiva dalla giustizia penale dall’accusa d’aver mandato in bancarotta l’Amica. E condannati in primo grado da quella civile a pagare insieme al Comune 27 milioni e mezzo di euro di risarcimento alla curatela fallimentare dell’ex azienda, che per anni gestì il servizio rifiuti in città prima d’essere dichiarata fallita il 18 gennaio 2012 dal Tribunale di Foggia perché i costi aziendali erano di gran lunga superiori ai ricavi.
Il doppio processo - E’ il doppio percorso giudiziario sul crack Amica. Il giudice penale assolse e prosciolse 14 imputati tra cui l’ex presidente Elio Aimola; gli ex componenti del consiglio d’amministrazione Michele Milano, Lucia Murgolo, Saverio Balestrucci, Raffaele Brigida, Maria Teresa Zingrillo, Fabrizio Cangelli; gli ex componenti del collegio sindacale Mario Mancaniello, Fortunato Stasi, Giuseppe Salvato; l’ex direttore generale Michele Simone; il liquidatore dell’azienda, il vice prefetto Pasquale Santamaria accusati a vario titolo di bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, violazioni delle legge fallimentari. La sezione specializzata in materia d’impresa del Tribunale di Bari ha condannato Comune, Aimola, gli eredi di Milano e di Brigida, Balestrucci, Zingrillo, Murgolo, Cangelli, Simone, Mancaniello, Salvato, gli eredi di Francesco Marasco (non imputato nel processo penale) e Carlo Marconi (anche lui non coinvolto nell’inchiesta penale) a “risarcire i danni alla curatela fallimentare”; rigettata l’analoga richiesta per Santamaria e Stasi.
“Nessuna inerzia” – “Dagli atti d’indagine” scrisse il gup di Foggia che a febbraio 2017 assolse e prosciolse i 14 accusati dalla Procura di Foggia “non è possibile ipotizzare un’inerzia colpevole degli imputati tale da determinare il fallimento di Amica, le cui cause sono da ricercare nelle condotte tenute dal Comune, socio unico dell’azienda, per aver lasciato che Amica finisse lentamente in uno stato di decozione” (ossia situazione di insolvenza) “irreversibile, senza mai intervenire sia per bloccare il depauperamento, sia per ripianare le perdite. Il Comune si preoccupò solo di garantire la continuità del posto di lavoro alle maestranze, anche quelle delle società satelliti e collegate ad Amica, pagate coi soldi dei contribuenti; e costituite in parte anche da elementi di dubbia capacità e efficienza”.
Il risarcimento – “La citazione in giudizio da parte della curatela fallimentare di Amica è risultata sostanzialmente fondata nei confronti dei convenuti, con l’eccezione dell’ex liquidatore Santamaria e del presidente del collegio dei sindaci Stasi” scrive ora in 42 pagine il Tribunale di Bari, richiamandosi a quanto accertato dai periti. La curatela lamenta che il Comune, quale socio unico, esercitò su Amica i “poteri di direzione e coordinamento tipici dell’affidamento in house; da parte del Comune non ci fu mai regolarità nel pagamento dei corrispettivi, tanto che Amica dovette promuovere una serie di iniziative giudiziarie contro l’ente locale; Amica fece registrare perdite negli esercizi 2005/2006, un piccolo risultato utile nel 2007/2008, e di nuovo ingenti perdite nel 2009/2010”. La curatela contesta “agli organi sociali di Amica”, ossia cda e consiglio dei sindaci, “d’aver tenuto sia illegittimi comportamenti di amministrazione attivi di natura contabile, gestionale; sia comportamenti omissivi”. Gli ex amministratori e manager di Amica chiamati in causa chiedevano il rigetto dell’istanza (e faranno appello), contestando che fondatezza della domanda di risarcimento, quantificazione del danno ritenuta eccessiva ed erronea, e rimarcando la legittimità dei propri comportamenti.
Le colpe Il Tribunale di Bari ha condiviso in gran parte la richiesta della curatela fallimentare. “I periti, dopo aver meticolosamente esaminato la documentazione contabile, hanno ricostruito i bilanci di Amica, evidenziando le condotte degli organi sociali in contrasto con gli obblighi loro imposti dalla legge. Alcune delle cause del dissesto erano già presenti quando fu trasformata da azienda speciale in società per azioni; ad Amica fu accollata la perdita di bilancio del 2005 facente capo alla cessata azienda speciale. I bilanci di esercizio degli anni successivi, approvati dalla società, evidenziano un peggioramento della situazione economica a causa di costi aziendali di gran lunga superiori ai ricavi”. Quali i fattori dello stato di insolvenza di Amica? “I corrispettivi determinati unilateralmente dal Comune per l’erogazione dei servizi erano ampiamente al di sotto dei costi sostenuti dalla società per la loro realizzazione. Ci fu un incremento incontrollato dei costi del personale diretto e indiretto. Il trasferimento a carico di Amica spa dei costi derivanti dalla gestione delle discariche di proprietà del Comune. I gravi e ingiustificati ritardi nei pagamenti dei corrispettivi da parte del Comune. Il considerevole aumento nel corso degli anni dei costi derivanti dai contratti stipulati dall’azienda con varie cooperative, contratti quasi sempre imposti dall’amministrazione comunale”. Agli amministratori di Amica succedutisi negli anni vengono imputate “diverse irregolarità e incongruenze poste in essere in spregio ai principi di prudenza, chiarezza, veridicità e correttezza”, oltre “a una serie di omissioni fonte di danno per la società.”