FOGGIA - A fine ottobre 2017 l’imprenditore foggiano Michele D’Alba ha denunciato tentativi di estorsione fatti ai suoi familiari, spiegando però di non aver mai pagato il pizzo e omettendo di raccontare i contatti con Francesco Tizzano, un presunto affiliato del clan Moretti. L’uomo, nel frattempo condannato per estorsione a un’altra struttura sanitaria della famiglia Vigilante, in una intercettazione aveva invece detto che D’Alba «deve portare pure una cosa di soldi». Da qui parte l’inchiesta della Dda di Bari che contesta all’imprenditore di Manfredonia, riferimento delle coop Tre Fiammelle e Lavit (entrambe sottoposte a interdittiva antimafia) ma anche della San Giovanni Di Dio (che ha però sempre negato di avere rapporti con la famiglia D'Alba), il favoreggiamento della mafia: il suo «negazionismo» avrebbe consentito a Tizzano e a un altro affiliato di sottrarsi alle indagini per estorsione.
Nel fascicolo della pm Bruna Manganelli, che il 2 maggio ne ha chiesto il rinvio a giudizio, c’è il verbale di interrogatorio di D’Alba. Un interrogatorio in cui nel 2020 l’imprenditore (assistito dall’avvocato Nicola Traisci) ha parzialmente corretto il tiro, anche perché nel frattempo c’era stata la discovery sulle intercettazioni di Tizzano (contenute nell’ordinanza del blitz «Decima Azione»): «Vi posso assicurare - dice ai poliziotti della Mobile di Foggia il 16 aprile 2020 - di non aver pagato alcuna somma di denaro». Ma ammette di aver incontrato Tizzano...
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