Colpevolezza confermata e nessuno sconto di pena nel processo d’appello a 3 presunti mafiosi legati al clan Sinesi/Francavilla condannati a complessivi 17 anni e 1 mese per un tentativo di estorsione da 80mila euro ai tre titolari/gestori di un autoparco cittadino e di triplice tentato omicidio, avvenuto la mattina del 3 settembre 2016 al “Prestige” sulla circumvallazione. I giudici della prima sezione della corte d’appello di Bari hanno inflitto 8 anni e 9 mesi a Francesco Pesante, trentaseienne soprannominato “u sgarr”, accusato di tentata estorsione, triplice tentato omicidio, lesioni e porto illegale di pistola; 4 anni e 2 mesi a testa per Alessandro Aprile, quarantenne detto “Scattamorto” e Antonio Salvatore, di 33 anni, alias “Lascia lascia”, per concorso in tentata estorsione e lesioni: furono assolti in primo grado da triplice tentato omicidio e armi. Il pg chiedeva la conferma del verdetto pronunciato l’8 novembre 2022 dal Tribunale di Foggia; gli avv. Rosario Marino e Carlo Alberto Mari chiedevano assoluzioni.
Per questa vicenda i tre foggiani furono fermati dalla squadra mobile il 7 ottobre 2016, e poi rimessi in libertà: sono da tempo di nuovo detenuti perché coinvolti in altri processi contro la “Società foggiana”. Nell’inchiesta era coinvolto anche Rodolfo Bruno, il presunto cassiere del clan Moretti assassinato in un agguato mafioso da 3 killer ancora impuniti il 15 novembre 2018 in un bar sulla circumvallazione. Altri due coimputati - un imprenditore marchigiano e un uomo di Torremaggiore - accusati di concorso in tentata estorsione furono assolti dal gup di Foggia nell’ottobre 2018, sentenza da tempo diventata definitiva.
Secondo l’accusa l’imprenditore marchigiano, l’amico di Torremaggiore, Pesante e altri 2 uomini rimasti ignoti si presentarono la mattina del 3 settembre 2016 nell’autoparco “Prestige” gestito da Giuseppe D’Angelo, dal figlio Vincenzo e dalla moglie di quest’ultimo. L’imprenditore marchigiano rivendicò il pagamento di 80mila euro quale vecchio credito per la vendita di un’auto; Giuseppe D’Angelo rispose d’aver estinto da tempo il debito, come da documentazione e bonifici pure acquisiti agli atti processuali. Nell’andar via Pesante avrebbe avvertito la vittima: “se non cacci i soldi ti sparo”.
Due ore dopo nell’autoparco - prosegue l’atto di accusa - si presentarono in 4 a bordo di una “Audi”: ancora Pesante e con lui Aprile, Salvatore e Rodolfo Bruno. Nella struttura c’erano Vincenzo D’Angelo, la moglie e lo zio Roberto d’Angelo (ucciso la sera del 2 gennaio 2020 su viale Ofanto: era in auto e uno scooter con uno o due sicari si affiancò e fecero fuoco a pistolettate, agguato rimasto impunito). Bruno avrebbe detto che la “situazione non poteva essere sistemata se non consegnando i soldi”: dalle parole si passò alle vie di fatto, e Vincenzo D’Angelo e lo zio furono picchiati. Il primo si rifugiò in casa e con una pistola a salve sparò per allontanare i 4 uomini; al che Pesante avrebbe sparato a altezza d’uomo contro Vincenzo D’Angelo affacciato alla finestra, la moglie e lo zio che erano davanti all’abitazione, tutti rimasti illesi. Due giorni dopo pistoleri rimasti ignoti si fermarono davanti al cancello dell’autoparco sparando e uccidendo il pastore tedesco che era di guardia.
Interrogato dopo l’arresto, Pesante fornì la sua verità: non ci fu alcuna estorsione; in seguito alla prima visita nell’autoparco si arrabbiò, e quando incontrò Salvatore e Rodolfo Bruno che lo videro agitato, spiegò cosa fosse successo: Rodolfo Bruno propose di recarsi tutti insieme nell’autoparco per sistemare la questione, ai tre si aggiunse Aprile; nell’autoparco ci fu una discussione verbale, la situazione degenerò, lui sparò in aria e non certo con l’intenzione di colpire le tre parti offese. I difensori chiedevano l’assoluzione di Pesante dal triplice tentato omicidio e dei 3 imputati dal tentativo di estorsione (rimarcando come per la stessa accusa fossero già stati assolti l’imprenditore marchigiano e l’amico di Torremaggiore), sostenendo che si trattò di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Argomenti difensivi che verranno riproposti nel ricorso in Cassazione degli avv. Marino, Mari e Claudio Caira.