Le facce della «Società»

Foggia, il pentito rivela: «Il clan voleva uccidermi e io vivere più serenamente»

Redazione Foggia

Verderosa, ex affiliato della batteria Moretti: «Otto anni all'inferno, dal 2011 al 2019 mi sono occupato anche di omicidi e di procurare i mezzi per gli agguati»

FOGGIA - «Ho fatto parte del clan Moretti per 8 anni, dal 2011 al 2019; mi occupavo anche di omicidi e di procurare i mezzi per gli agguati. Il 18 dicembre 2019, quand’ero tornato libero da un paio di mesi dopo oltre tre anni di carcerazione, decisi di collaborare con la Giustizia perché il mio clan voleva uccidermi e anche per avere una vita più serena». Così Carlo Verderosa, 40 anni, foggiano, che ha testimoniato per oltre 4 ore in videoconferenza da una località segreta e volgendo le spalle alla telecamera, nel processo “Decimabis” a 13 foggiani accusati a vario titolo di mafia, 3 estorsioni, 1 tentativo di estorsione, 2 episodi di usura e 1 di turbata libertà degli incanti aggravati dalla mafiosità. L’inchiesta “Decimabis” sfociò nel blitz di novembre/dicembre 2020 con 44 arresti; 41 gli imputati: 13 a processo a Foggia, e 28 condannati in primo grado lo scorso ottobre a 203 anni nel giudizio abbreviato dal gup di Bari, tra cui Verderosa cui sono stati inflitti 3 anni e 4 mesi per mafia quale affiliato al gruppo Moretti/Pellegrino Lanza col compito di supportare il gruppo di fuoco e di addetto allo spaccio.

Verderosa, rispondendo prima alle domande dei pm Bruna Manganelli e Rosa Pensa e quindi al controinterrogatorio dei difensori, ha ribadito quanto disse durante le indagini preliminari sul motivo del pentimento. Fu arrestato a gennaio 2016 per armi nel blitz Ripristino (8 arresti) contro il clan Moretti collegato alla guerra di mafia del 2015/2016 con i rivali Sinesi/Francavilla con 10 agguati, 3 morti e 11 feriti/scampati; venne condannato a 5 anni e 5 mesi, ridotti in appello a 3 anni e 10 mesi. Scarcerato a ottobre 2019 dopo tre anni e mezzo trascorsi tra carcere e domiciliari a Barile (Potenza), «dove già cominciai a pensare di collaborare con la Giustizia», due mesi più tardi decise di pentirsi. Perché? Perché tramite un compagno di cella lesse gli atti dell’inchiesta “Decima azione” (non era imputato) e si convinse che esponenti del suo clan volessero sbarazzarsi di lui (“buttatelo nell’immondizia” avrebbe detto un mafioso); inoltre non era stato visto di buon grado che in carcere avesse fumato spinelli con Patrizio Villani, killer del clan rivale Sinesi/Francavilla, a sua volta pentitosi a maggio 2022. Queste considerazioni e la scelta di una vita più serena, lo indussero la sera del 17 dicembre 2019 a contattare un poliziotto della squadra mobile e confidargli la decisione: il giorno dopo fu accompagnato a Bari e rese le prime dichiarazioni alla Dda.

Il suo contributo - ha ricordato Verderosa - fu subito importante; riferì d’aver partecipato il giorno prima a una riunione a casa di Rocco Moretti junior in quel periodo ai domiciliari (figlio di Pasquale e nipote di Rocco, ai vertici dell’omonimo clan) dove per la prima volta era stato presente alla compilazione della lista degli stipendi mensili agli affiliati; raccontò di aver portato parte dei soldi a esponenti del gruppo Trisciuoglio/Tolonese. Sulla scorta di quella rivelazione lo stesso pomeriggio del 18 dicembre la squadra mobile perquisì casa di Moretti junior e lo arrestò perchè fu trovato oltre un etto di cocaina, ma soprattutto gli agenti rinvennero, a riscontro del racconto di Verderosa, due liste: l’elenco delle vittime del racket e le somme pagate; e quello degli stipendi agli affiliati. Il boss Vincenzo Antonio Pellegrino - ha detto il pentito, quando i pm gli hanno chiesto di parlare degli imputati in attesa di giudizio - riceveva mille euro e ulteriori 2mila euro frutto dell’estorsione a un locale, perché essendo detenuto nel Nord Italia aveva maggiori necessità e spese.

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