via le baracche

Riqualificare i ghetti a Foggia ma non ci sono idee

Massimo Levantaci

Intervista alla sociologa. Fanizza: «La casette del Pnrr non cambieranno nulla»

Casette e un vivere civile per cancellare la gogna dei ghetti nel territorio foggiano: eppure potrebbe non bastare a borgo Mezzanone, così come in tutti gli altri ghetti popolati da lavoratori extracomunitari che contornano la Capitanata. Si conosce ancora poco dei progetti per riqualificare questi luoghi del degrado, finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza con 104,3 milioni. Ma da quel che trapela, il piano dei comuni d’intesa con il Politecnico di Bari punta sulla ristrutturazione di vecchi edifici e sul rilancio delle borgate rurali di epoca fascista, la prima riforma agraria varata negli anni ‘40 ma abortita quasi subito a causa della guerra.

La Gazzetta ha pensato di affrontare questa riflessione con la prof. Fiammetta Fanizza, sociologa, docente dell’università di Foggia e componente del direttivo della Sezione pugliese dell’Istituto nazionale di Urbanistica che una decina di anni fa mandò alle stampe «Il tramonto dell’urbano», un saggio sul ruolo che ebbero le sei borgate rurali (Arpinova, Cervaro, Incoronata, Segezia, Tavernola, Duanera La Rocca) nello sviluppo della ruralità in Capitanata e per il trasferimento delle «braccia» dalla periferia alla “quasi” città.

Prof. Fanizza, quali connessioni tra la bidonville di Mezzanone e le “sue” borgate?

«Poche, in verità. Ma non dobbiamo negare un dato: fin quando c’è una invisibilità urbanistica, il problema non viene considerato se non nei casi di cronaca, appunto nella dimensione disumana cui abbiamo assistito finora».

E dunque giusto costruire nuovi caseggiati?

«Da quando studio questa materia in maniera ossessiva, ripetere insieme la dimensione dell’abitare con la dimensione del vivere significa metter mano a investimenti. Lasciando da parte, ma solo per un attimo, il problema della criminalità che si annida in queste aree con i caporali tema centrale. Ma evitiamo di mettere troppa carne a cuocere».

E dunque cosa al posto delle le baracche?

«Le casette civili in muratura, ma non basterà. È un’idea già provata dall’edilizia anni ‘70 e ‘80. I luoghi nascono perchè si studiano a tavolino certe situazioni. Qui non mi sembra che stia avvenendo».

Per questo si riparte dalle borgate rurali?

«Le borgate rurali di Foggia sarebbero già pronte se ci fosse un vero progetto di riqualificazione urbana. A Segezia, Incoronata le case sono già in piedi».

Lei cosa farebbe innanzitutto?

«Domandiamoci piuttosto perchè a Casa Sankara (l’unico centro di accoglienza autorizzato in Capitanata: ndr) non si è praticato lo spostamento del vicino ghetto di Rignano... Sono processi lasciati al caso, c’è una dose di impreparazione amministrativa sulla pianificazione del territorio che mi spaventa».

Anche a borgo Mezzanone vede una convivenza forzata?

«I progetti non li conosciamo, posso sperare che ci sia un processo partecipativo a monte. L’esperimento degli alberghi diffusi è fallito totalmente per la stessa ragione. Se gli amministratori avessero una progettualità potrebbero riformularla sulla base dei concetti che cambiano».

Servirebbe una platea di saperi.

«Bisognerebbe parlare con i geologi, i geografi, i sociologi, gli urbanisti. Un tavolo per descrivere, comprendere, fare una previsione. Se siamo solo al livello descrittivo, ci fermeremo al primo stadio. Un processo che sarebbe dovuto già partire: la storia del piano casa alla Regione Puglia è la dimostrazione di quanto qui si stia molto indietro».

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