Foggia - Quattro condanne e due assoluzioni nel processo di Appello «Rodolfo», a carico di sei foggiani, cinque dei quali accusati di estorsione aggravata dalla mafiosità ai danni di un imprenditore agroalimentare, che per otto anni pagò il pizzo ad esponenti di due clan rivali della Società foggiana, con tangenti mensili di circa mille euro, assunzioni fittizie e «contributi» per le spese legali di un detenuto.
I giudici della seconda sezione penale della Corte di Appello di Bari hanno inflitto 13 anni e 4 mesi in continuazione (sei anni per la vicenda Rodolfo e sette anni e quattro mesi per il processo Corona degli anni scorsi in cui fu condannato per mafia) ad Antonello Francavilla 44 anni al vertice del clan Sinesi-Francavilla attualmente detenuto ai domiciliari per questa vicenda vicino Roma. L'uomo è stato riconosciuto colpevole di concorso in una estorsione del giugno-novembre 2013 con rate mensili di mille euro.
Condannata a sei anni di reclusione (sei mesi in più rispetto alla condanna inflitta dal tribunale di Foggia in primo grado) la sorella del capo clan Dina Francavilla di 39 anni; condanna più pesante - 9 anni e 10 mesi - rispetto ai 7 anni e 6 inflitti in primo primo grado, anche per il marito Mario Lanza di 40 anni (ai domiciliari). I coniugi sono accusati di aver imposto alla vittima l’assunzione della donna in una sua azienda dove percepì lo stipendio per otto anni senza di fatto - secondo la tesi dell'accusa - andare mai a lavorare.
Confermata la condanna a due anni di Marco Matteo Piserchia, imprenditore foggiano di 46 anni accusato di aver violato le norme in materia di misure patrimoniali, facendo da prestanome ad un boss come titolare di un terreno dove si stava costruendo una villetta alla periferia di Foggia. Assolti invece perché il fatto non sussiste Vito Bruno Lanza 68 anni, detto «U Lepr», al vertice del clan Moretti- Pellegrino-Lanza e il figlio Leonardo Lanza di 42 anni: il primo venne condannato a Foggia a cinque anni e sei mesi per aver imposto all’imprenditore di pagare le spese legali di un detenuto; il secondo a sei anni e sei mesi per aver imposto alla stessa vittima di assumerlo in una sua azienda.