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Qualità industriale e talenti, la Puglia vada oltre il solito «sole, mare e vento»
La carta del turismo è stata già giocata e non può costituire l’unico pilastro di un modello di sviluppo
L’elezione di Antonio Decaro alla guida della Regione Puglia segna l’inizio di una nuova fase politica, che coincide con un contesto economico sempre più complesso. Negli ultimi dieci anni, la Puglia è stata raccontata come una terra di turismo, accoglienza e qualità della vita: un racconto efficace, capace di creare valore e riconoscibilità. Ma proprio questo racconto rischia oggi di trasformarsi in una scorciatoia retorica, insufficiente a sostenere una regione che sta nuovamente rallentando.
La carta del turismo, infatti, è stata già giocata e non può costituire l’unico pilastro di un modello di sviluppo. La crescita del settore ha prodotto benefici evidenti, ma ha anche alimentato l’illusione che l’economia regionale potesse basarsi quasi esclusivamente sulle rendite della stagione estiva. Il turismo, per sua natura, è stagionale, genera occupazione spesso non qualificata, non crea filiere tecnologiche, non trattiene i giovani più competenti e non può garantire la sostenibilità economica di una regione di quattro milioni di abitanti. Continuare a fondare il modello pugliese su «lu sule, lu mare, lu ientu», sebbene intriso di fascino, significherebbe accettare una competitività ridotta e rinunciare all’ambizione di un’economia complessa.
La Puglia si trova oggi davanti a due questioni decisive. Da un lato la siderurgia, un tempo cardine dell’economia nazionale, vive la sua fase più critica: la transizione industriale dell’ex Ilva procede lentamente e senza una chiara strategia di riposizionamento produttivo e tecnologico. Dall’altro lato la portualità, che potrebbe essere una delle vere carte vincenti della regione, non ha ancora raggiunto il livello dei grandi hub mediterranei. Taranto non ha consolidato funzioni logistiche, digitali e intermodali comparabili a quelle dei porti leader. Senza una logistica avanzata e senza una manifattura rigenerata, la Puglia rischia di rimanere un territorio di servizi a bassa intensità innovativa.
Il nodo centrale resta la capacità di trattenere i talenti. È stato molto evocato il «ritorno dei giovani pugliesi», ma un rientro non si produce attraverso la narrazione: dipende dalle condizioni materiali. I giovani che oggi lavorano tra Milano, Berlino o Boston tornano solo se trovano un ecosistema capace di offrire startup veloci da avviare, amministrazione semplice, università collegate ai processi produttivi, capitali privati, fondi d’investimento, infrastrutture digitali e fisiche adeguate, e una politica che orienti lo sviluppo invece di limitarsi a distribuire bandi. Senza questo ecosistema, il rientro dei talenti resta un auspicio; con esso, diventa una scelta razionale.
Le opportunità non mancano e la Puglia non parte certo da zero. Esistono asset che potrebbero renderla una regione leader nel Mediterraneo: energie rinnovabili, condizione ideale per data center, hydrogen valley e imprese energivore a basso impatto; aerospace, con lo spazioporto di Grottaglie e competenze aeronautiche uniche nel panorama nazionale; agroalimentare avanzato, capace di integrare tecnologia, tracciabilità e robotica di campo; sanità digitale, grazie a grandi poli ospedalieri e università aperte alla sperimentazione; economia del mare e logistica 4.0. Sono potenzialità reali, ma restano ancora isole scollegate.
In questo contesto appare quanto mai necessario un cambio di visione. Il turismo resterà una componente importante dell’economia pugliese, ma non può essere il paradigma della prossima legislatura. La Puglia necessita di tornare a pensarsi come regione industriale, tecnologica, logistica; una regione capace di produrre innovazione, non solo di ospitarla. La costruzione di una strategia industriale regionale pluriennale, un coordinamento stabile tra università, imprese e istituzioni, un ecosistema dell’innovazione che non dipenda dalla casualità dei bandi, e una politica che misuri i risultati in investimenti privati, brevetti, export tecnologico e occupazione qualificata sono condizioni irrinunciabili. Anche il rapporto con i fondi europei deve cambiare: non sostituti del mercato, ma leve per attrarre capitali privati.
In questo scenario, sarebbe auspicabile recuperare la spinta ideale di progetti come «mare a sinistra», quando la politica provava a immaginare il mare non solo come richiamo turistico, ma come infrastruttura strategica, come spazio di lavoro, scambi, ricerca, energia, innovazione. Oggi più che mai quel tipo di immaginazione politica serve: non per tornare indietro, ma per andare oltre l’idea della Puglia come semplice destinazione, restituendole un ruolo da protagonista nel Mediterraneo contemporaneo.
L’auspicio è che questa nuova stagione di governo apra finalmente un ciclo fondato sulla qualità industriale, sulla ricerca e sull’innovazione. La Puglia non può più accontentarsi della rendita turistica: deve diventare una grande regione europea. E questa, oggi, è la sfida politica più urgente.