L'analisi
Il Sud Lomocotiva d’Italia? Allora nella legge di bilancio il governo si sforzi di più
Ma se è vero che il Sud è un’occasione storica per l’Italia, qualcosa di più dev’essere immaginato per non lasciarsela scappare
La Presidente Giorgia Meloni, non più di qualche giorno fa, ha ribadito che il Sud è la locomotiva d’Italia. L’affermazione poggia su un dato consolidato: il Mezzogiorno, negli ultimi esercizi, ha corso più della media nazionale e, per questo, il resto del Paese non lo guarda più dallo specchietto retrovisore. È, dunque, obbligatorio domandarsi se la manovra economica che il Senato si appresta a discutere sia o meno all’altezza di questa nuova realtà e delle aspettative che essa suscita.
Al centro delle misure campeggia la ZES Unica. L’esecutivo con il rifinanziamento del credito d’imposta (2,3 miliardi per il 2026, 1 miliardo per il 2027 e 750 milioni per il 2028) prova a dare al Sud un orizzonte di medio periodo, prendendo le distanze dagli interventi una tantum che hanno fin qui indotto tanti meridionali alla ricerca della «grande occasione».
Gli incentivi, così congegnati, assumono ora i contorni di un percorso ordinato, verificato e cucito sulle diverse taglie delle imprese del Sud. Si configura così un paradosso: la continuità impressa alla ZES segna una discontinuità.
Grazie alla quale il Meridione non appare più un adempimento obbligato di una politica economica che sostanzialmente non lo comprende. Inoltre, si potrebbe affermare che un’analoga filosofia di fondo sorregge gli esoneri contributivi: favorire un’occupazione più stabile, soprattutto per le nuove generazioni.
Fin qui la parte positiva della disamina. Altri passaggi della manovra, invece, necessiterebbero di un supplemento di riflessione. Le limitazioni alla compensazione dei crediti d’imposta con i debiti previdenziali, in primo luogo, non costituiscono una quisquilia tecnica bensì un vincolo che rischia di comprimere la liquidità aziendale, proprio nel momento in cui si chiede di accelerare.
Vale la pena, poi, fare una considerazione sui LEP, i livelli essenziali delle prestazioni, cioè il nucleo minimo dei servizi da garantire ovunque. Qui la manovra sembra voler seguire la direzione indicata dalla Consulta per rendere possibile il varo della legge sull’autonomia differenziata: prima di attribuire eventuali nuove funzioni alle regioni, occorre definire standard, costi e garanzie.
Sulla maggior parte delle materie - con la notevole eccezione del diritto allo studio e dei cosiddetti «LEP sociali», sui quali esiste un effettivo stanziamento – siamo, però, ancora al tempo delle definizioni. Ma il problema non è di forma, bensì di sostanza. L’arretratezza di infrastrutture sociali al Sud, infatti, si è fin qui tradotta in povertà di capitale umano.
Sicché, le occasioni che gli sono state offerte attraverso l’intervento straordinario dopo poco sono svanite, esauritesi per mancanza di continuità. Il discorso non cambierà se tali occasioni, anziché provenire dallo Stato, verranno offerte al Mezzogiorno dalla contingenza storica.
E un’osservazione in fondo non dissimile può essere fatta anche per i fondi di coesione. Riguardo ad essi la filosofia di fondo della manovra può essere condivisa: il problema per il Sud non è quello di spendere di più ma di spendere meglio risorse che spesso restano ferme.
Tuttavia, il fatto che la manovra riduca per i prossimi tre anni la quota statale del Fondo Sviluppo e Coesione, se non è uno «scippo al Sud» non può neppure essere considerato un mero dettaglio contabile. Si sarebbe potuto favorire una grammatica dell’intervento pubblico meno redistributiva e più selettiva anche a parità di spesa. Certo, la coperta è corta. Il ministro Giorgetti non manca di ricordare la durezza dei vincoli di bilancio. E fa bene, viste anche le promozioni che da ultimo sono state tributate al Paese.
Ma se è vero che il Sud è un’occasione storica per l’Italia, qualcosa di più dev’essere immaginato per non lasciarsela scappare.