L'analisi

Ombre rosse sull’Ilva, ma Taranto vuole una scelta definitiva

Biagio Marzo

«Le ombre sono sorelle della luce». Intorno allo stabilimento siderurgico di Taranto non mancano né le une né l’altra. Ma quando la luce scarseggia, l’ombra si allunga, e oggi avvolge l’intera crisi della siderurgia italiana»

«Le ombre sono sorelle della luce». Intorno allo stabilimento siderurgico di Taranto non mancano né le une né l’altra. Ma quando la luce scarseggia, l’ombra si allunga, e oggi avvolge l’intera crisi della siderurgia italiana. Del simbolo dell’acciaio - ferro e fuoco - restano soltanto «ombre rosse».

A Palazzo Chigi si è tenuto l’incontro tra le organizzazioni sindacali metalmeccaniche e la delegazione del governo. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non era presente, sebbene più volte invocata dal sindacato. Si spera che entri in gioco in zona Cesarini: quando la crisi imporrà una scelta netta - chiudere o salvare la siderurgia - difficilmente potrà restare defilata. Il tempo, maledettamente, non gioca a favore. L’unica ancora di salvezza è che lo Stato imprenditore torni a farsi carico di un settore strategico per il sistema Italia. Non può essere altrimenti, a condizione che Bruxelles apra un tavolo sulla siderurgia europea, con protagonisti Ursula von der Leyen, Raffaele Fitto e Stéphane Séjourné. Giorgia Meloni dovrà giocare di sponda tra Palazzo Chigi e Palazzo Berlaymont.

Intanto, tra governo e sindacati si è aperta una frattura profonda, culminata nella proclamazione di uno sciopero generale di 24 ore con assemblee in tutti i reparti. Una decisione presa a tamburo battente: la misura è colma. Si è partiti da 4.450 lavoratori in cassa integrazione; si è passati a 5.700; dal 1° gennaio si sarebbe dovuti arrivare a 6.000 unità. Numeri che segnavano l’agonia di un gigante industriale: la famigerata «Cattedrale nel deserto». L’unica novità - il coniglio tirato fuori dal cilindro - è stato un dietrofront dell’esecutivo: la cassa integrazione resta a 4.450 unità e i restanti 1.500 dipendenti saranno avviati ai percorsi di formazione, poiché alcuni impianti dovranno fermarsi per manutenzione. Ben poca cosa rispetto alla tempesta che si profila. I sindacati prevedono nuove ondate di cassa integrazione e indicano nel marzo prossimo «l’ora più buia». «Hanno scelto di mettere sul lastrico oltre 10mila lavoratori diretti, più circa 5mila dell’indotto. Dopo anni di sofferenze, sacrifici e incertezze scaricate sul territorio, il re è nudo: stanno abbandonando Taranto, Genova e tutti i siti siderurgici coinvolti, fuggendo dalle responsabilità industriali e sociali», ha vaticinato Rocco Palombella, segretario nazionale Uilm.

L’organico attuale dello stabilimento di Taranto è di 7.938 lavoratori: 5.371 operai, 1.704 quadri e 863 equiparati. Un esercito industriale in attesa del proprio destino. A fronte di una crisi così profonda, le rassicurazioni del governo non bastano: smentisce ulteriori estensioni della cassa integrazione e conferma la volontà di mantenere aperto il confronto. Il ministro del Mimit, Adolfo Urso, assicura che prosegue l’interlocuzione per la vendita di Acciaierie d’Italia con i due Fondi americani Bedrock e Flacks Group, in cordata con Steel Business Europe, ai quali potrebbe aggiungersi un ulteriore player straniero. Si è parlato a lungo di Qatar Steel: vero interesse o suggestione mediatica? E restando nella penisola arabica, è spuntato - vero o no, e comunque da prendere con beneficio d’inventario, come tutto ciò che annuncia Urso - il nome di Emsteel degli Emirati Arabi Uniti. Dio ci scampi e liberi dai fondi speculativi: intervengono nelle imprese in crisi per risanarle e rivenderle con profitto, o per mettere sul mercato gli asset migliori.

Sino a oggi una verità resta granitica: due bandi sono andati deserti. Troppi potenziali acquirenti si sono sfilati o sono stati allontanati. Il caso più emblematico è quello di Baku Steel, azienda che il Comune di Taranto - con in testa il sindaco Piero Bitetti - ha di fatto respinto negando il rigassificatore necessario al nuovo piano industriale. Il progetto prevedeva tre forni elettrici al posto degli altiforni e un impianto Dri alimentato a gas per produrre preridotto. Ma senza rigassificatore, senza gas, con quale energia si sarebbe potuto alimentare quel modello? Oggi l’altoforno 4 è l’unico in funzione, con una produzione intorno ai due milioni di tonnellate. Un colpo durissimo è stato lo stop dell’altoforno 1, posto sotto sequestro dalla procura di Taranto per un incendio dovuto al guasto di numerose termocoppie.

Da quel momento l’acciaieria è entrata in una spirale discendente, aggravata dalla mancanza di risorse per la manutenzione, i mancati pagamenti ai fornitori, la carenza di ricambi e di minerale. I lavoratori vivono in una condizione di depressione profonda: altro che nevrosi freudiana, qui è la realtà a piegare gli animi. E presto, oltre ai fornitori, rischiano lo stipendio anche i dipendenti. Va da sé che i sindacati si oppongano all’estensione della cassa integrazione, ma non possono far finta di non vedere il rischio drammatico dei lavoratori senza salario. Con una fabbrica ferma e senza produzione, la tenuta sociale diventa una polveriera.

La verità è che Taranto è diventata il banco di prova della credibilità dell’intero sistema politico italiano. Non basta annunciare la difesa dell’interesse nazionale: bisogna praticarla, assumendosi responsabilità che nessun privato può più caricarsi sulle spalle. La siderurgia non è un fardello del passato, ma un asset strategico senza il quale il Paese si impoverisce e dipende dagli altri. Oggi Governo, Parlamento e istituzioni locali sono davanti a un bivio: o ricostruire una politica industriale degna di questo nome, oppure certificare il fallimento di vent’anni di rinvii, commissariamenti e soluzioni pasticciate.

Taranto chiede ciò che in ogni democrazia matura sarebbe ovvio: una scelta chiara, definitiva, non più rimandabile. Perché è nella capacità di decidere, non nei comunicati, che si misura la statura di una classe dirigente. E questa volta, a Roma, nessuno potrà dire di non sapere.

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