L'analisi

Tra illeciti e «marketing», attenti politici pugliesi: alla fine si paga il conto

Biagio Marzo

Un avviso ai naviganti è dunque necessario: non forzate la mano agli elettori e agli amministratori con promesse da marinaio

Ecco un racconto breve, ispirato a La giornata d’uno scrutatore ma autonomo: un protagonista nel seggio elettorale del Cottolengo di Torino osserva i malati incapaci di intendere e di volere, accompagnati al voto al seggio 42. Sapevano cosa stessero facendo? Marco, lo scrutatore, abbassò lo sguardo sul registro. È giusto? si chiese. «O è solo un’ombra di democrazia, una caricatura del suo ideale?».

Calvino impiegò dieci anni per scrivere il suo romanzo – dal 1953 al 1963 – e alla luce delle elezioni di oggi quella pagina appare di una modernità disarmante. La cronaca giudiziaria, infatti, è ricca di casi di voto di scambio, corruzione elettorale e patti scellerati con la criminalità. L’inchiesta Codice Interno e il conseguente processo hanno portato alla condanna dell’ex consigliere regionale Giacomo Oliviero per voto di scambio politico-mafioso. Poi il caso di Sandro Cataldo, fondatore del movimento Sud Centro, tra i 18 imputati insieme alla moglie, l’ex assessora regionale ai Trasporti, Anita Maurodinoia (Pd), dimessasi dopo l’arresto del marito nell’aprile 2024, alla vigilia delle amministrative di Bari. Ultimamente è esploso lo scandalo di Modugno, con il coinvolgimento del sindaco e di diversi candidati per voto di scambio politico-mafioso e compravendita di voti in cambio di denaro, favori e promesse di assunzioni poi mantenute. E torna alla ribalta ancora Cataldo, imputato per due presunte associazioni per delinquere finalizzate alla corruzione elettorale che avrebbero alterato l’esito di consultazioni comunali. Non mancano le inchieste ancora avvolte nella nebbia giudiziaria, come quella che ha colpito l’ex assessore regionale allo Sviluppo economico, Alessandro Delli Noci.

È giusto però ricordare che non si deve fare di tutta l’erba un fascio: spesso gli imputati vengono assolti con formula piena. Intanto, però, hanno subito uno smacco politico e personale non indifferente. Per le Regionali pugliesi, la Commissione parlamentare Antimafia ha dichiarato quattro candidati «impresentabili», tre dei quali nella lista FI-Berlusconi-Ppe a sostegno di Lobuono. Un dato che segnala una falla profonda: la mancanza di una vera selezione dei candidati, dovuta al venir meno dei partiti intesi come comunità politica.

A beneficio della competizione pugliese va detto, tuttavia, che i due candidati alla presidenza - Antonio Decaro, per il centrosinistra, e Luigi Lobuono, per il centrodestra - sono al di sopra di ogni sospetto: si tengono lontani da pratiche poco trasparenti e da qualunque forma di intermediazione illecita. Questo loro profilo, saldo e lineare, dovrebbe indurre i più facinorosi tra i sostenitori a non mettere in atto comportamenti contrari alla legalità e allo spirito della contesa elettorale. Paradossalmente, chi immagina di «aiutare» con pacchetti di voti, pressioni o clientele, finisce per danneggiare proprio i candidati che vorrebbe favorire. Non è certo nelle grazie di Decaro o di Lobuono il candidato che arriva per primo solo perché dispone di risorse, reti opache o blocchi di preferenze da mettere sul tavolo. E troppo spesso questi aspiranti consiglieri non hanno alcuna idea della politica, né del ruolo pubblico che dovrebbero ricoprire.

Ambizioni sbagliate portano alcuni a vendere l’anima al diavolo, ai clan criminali, entrando in circuiti di millantato credito che svuotano la democrazia dall’interno. Sono patti che deturpano la democrazia elettiva e allontanano gli elettori dal voto. La crisi della partecipazione ha molte cause, ma una delle principali è la scarsa trasparenza elettorale. Scattano meccanismi di pressione sugli elettori che nulla hanno di buono: il clientelismo, le promesse irrealizzabili, l’uso opaco delle «casematte» del potere - sanità, partecipate comunali e regionali - trasformate in serbatoi di consenso da cui attingono capobastoni e cacicchi per i propri protetti. Gli apparati si mettono in moto durante la campagna elettorale, non lasciando libertà di scelta all’elettore, che cede al favoritismo o al ricatto: la forma più grave di violenza politica, perché coarta la coscienza del cittadino. In tutte le competizioni, di ieri e di oggi, i candidati peggiori credono di poter prevalere con mezzi illeciti quando quelli leciti appaiono insufficienti. E quanto più tali metodi sembrano fruttuosi, tanto più si è tentati di usarli.

Nelle campagne elettorali attuali gli elettori non sono coinvolti politicamente: sono travolti dai social, dalla proliferazione di fake news, manipolati come in un supermercato della comunicazione. La realtà conta sempre meno: ciò che domina è la propaganda-merce. I partiti non sono molto diversi dalle aziende commerciali e i candidati cercano di «vendere il prodotto». Già mesi prima della presentazione delle liste, quando tutto era ancora incerto, alcuni aspiranti consiglieri hanno tappezzato intere province con i propri manifesti privi di simbolo, pur non sapendo ancora in quale lista sarebbero stati collocati: un paradosso che racconta la crisi della politica meglio di qualsiasi saggio politologico.

Un avviso ai naviganti è dunque necessario: non forzate la mano agli elettori e agli amministratori con promesse da marinaio. Finita la campagna comincia la resa dei conti politica - e, per qualcuno, purtroppo, anche quella giudiziaria. Metaforicamente parlando, si conteranno vincitori, vinti, morti, feriti e dispersi. Perché, come Marco al seggio del Cottolengo, ogni elezione ci mette di fronte alla stessa domanda: la democrazia che viviamo è un esercizio di libertà o la sua caricatura? La risposta spetta agli elettori. Ma la responsabilità, oggi più che mai, è dei politici, i cui strumenti non sembrano più adeguati al cambiamento che la Puglia richiede. E il cambio di paradigma comporta, inevitabilmente, anche un cambio di personale politico.

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