L'analisi

Il sole della pace non riesce mai a sorgere su Gaza

Gino Dato

Nella terra dove il sole della pace non sorge mai, la guerra si è concentrata sui corpi: di ostaggi o di combattenti, di ciò che rimane di loro, dopo le sofferenze, le perdite, le stragi. A tregua incerta, alcune riflessioni si impongono

Nella terra dove il sole della pace non sorge mai, la guerra si è concentrata sui corpi: di ostaggi o di combattenti, di ciò che rimane di loro, dopo le sofferenze, le perdite, le stragi. A tregua incerta, alcune riflessioni si impongono

Primo. La storia continuano a scriverla soltanto i grandi della Terra, piuttosto che i popoli. A Trump dobbiamo infatti un parto multigemellare, ben 8 trattati di pace acquisiti in 9 mesi. E poco ci manca che non consegua il nono traguardo inanellando la pace russo-ucraina, che appare lontana. ll Novecento proprio nella sua estrema polarità e nelle vicissitudini epocali ci aveva trasmesso che la storia la fanno anche i popoli, gli uomini comuni, la povera gente... E dove sono il popolo e la povera gente trionfante se non nella disfatta del popolo palestinese e di Hamas? Un nome, datemi un nome di protagonista che mi faccia ricredere. Il bollettino luttuoso contempla soprattutto immagini e reportage di morte carestia fuga fame, lo scoramento, la scomparsa di bambini, donne, vecchi. Le pagine riserveranno invece caratteri cubitali solo per Trump e per le corti osannanti di governanti, le foto tronfie della diplomazia.

Secondo. Esiste sempre un dopoguerra di vendette e ripicche, di giustizia sommaria che prende di mira i «traditori» dell'altra parte. Visto che la «forza di stabilizzazione internazionale» deve ancora nascere e i poteri nel vuoto non si sono strutturati, Hamas si sta distribuendo nelle dislocazioni più strategiche della Striscia esibendo una ferocia non usuale contro gli avversari interni, per esempio la «famiglia» Doghmoush, un clan che fu di alleati di Hamas. Attraverso scontri a fuoco, caccia ed eliminazioni, Hamas prova a mettere sotto il suo controllo anche le sacche di resistenza, che erano cresciute sotto l'ombrello d'Israele.

Terzo. Quando si parla di grandi, intendiamo sempre non i tecnici, gli scienziati, gli intellettuali, gli scrittori, le professioni di aiuto, che pure si sono prodigate e spese in servizio e competenze, bensì i potenti e i politici in particolare, padroni della scena mondiale ed abili nell'aizzare i sudditi contro la sorte e le disavventure che non mancano mai. La vanità di Donald Trump è notoria e si è esibita attraverso il desiderio espresso di una copertina della rivista Time. Che è arrivata puntualmente, ma ha lasciato scontento Donald. «È bruttissima». La foto, firmata dal fotografo Graeme Sloan, è presa da sotto e controluce. Aggiunge il presidente: «L'articolo è abbastanza buono, ma la foto è la peggiore di tutti i tempi... hanno fatto scomparire i miei capelli... e poi hanno aggiunto qualcosa che galleggia sopra la mia testa, come una corona galleggiante ma estremamente piccola. Molto strano! Non mi sono mai piaciute le foto prese dal basso, ma questa è pessima, e merita una protesta...».

Quarto. La memoria, terreno sul quale coltivare dignità e senso della convivenza, è inesorabilmente svanita come neve al sole, diventa spazio di scontro e di vendette, si sbrindella nel dialogo del dopoguerra per risarcire da un dolore che sembra presidio inespugnabile di odi ancestrali. Senza lasciare spazio alla condivisione, semmai fomentati e rafforzati dalla tragedia delle perdite. Quando sorgerà il sole della pace?

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