L'analisi
La pace? Merito di Trump: decisiva la paura che ha saputo instillare
Quando Trump ha detto che se non avesse accettato la tregua avrebbe scatenato l’inferno, Hamas ci ha creduto
Quando Trump ha detto che se non avesse accettato la tregua avrebbe scatenato l’inferno, Hamas ci ha creduto. E Netanyahu ha capito che se non avesse abbandonato gli estremisti religiosi che pure fanno parte del suo governo, la sua vita politica sarebbe finita. Trump ha dimostrato di poter fare quello che vuole quando vuole. La paura che il presidente americano ha saputo instillare nell’animo dei due contendenti è stata decisiva per far cessare il fuoco. È merito suo e soltanto suo, anche per l’abilità con cui ha saputo tirare dalla sua parte gli altri attori principali di questa storia: l’ Egitto, la Turchia e soprattutto il Qatar destinatario delle scuse che Netanyahu è stato costretto a porgere dagli Stati Uniti per l’incauto bombardamento di Doha in cui Israele ha sperato di decapitare Hamas, senza riuscirci. Quando il capo dei negoziatori di Hamas ha ringraziato Trump e ha detto di aver avuto da lui e dai «Fratelli» chiamati al tavolo delle trattative le garanzie richieste e che perciò la guerra «è completamente finita», ci siamo trovati davanti a uno di quei momenti nella storia in cui da un istante all’altro l’incredibile diventa reale. Trump ha infiniti difetti di carattere e non solo, ma in un mondo in cui contano ormai soltanto i rapporti di forza, lui ha dimostrato di essere l’unico ad avere quella decisiva.
Ieri è stato il primo giorno da due anni in cui a Gaza non è morto nessuno. E la fiumana di persone che nei giorni scorsi era stata costretta ad emigrare verso sud, risale verso nord, costeggiando quella spiaggia e quel mare meravigliosi che potranno dare un futuro di benessere a questa gente se non si cederà all’egoismo mercantilistico di chi vuole farne una riviera solo per ricchi.
La tregua che Hamas si impegna a rispettare è solo il primissimo passo di un percorso molto lungo che prevede il disarmo completo dei terroristi e il loro esilio, il ritiro totale delle forze israeliane, una gestione amministrativa delegata all’autorità palestinese, mentre una forza multinazionale dovrà provvedere alla sicurezza militare. (Da ieri 10 carabinieri sono tornati in servizio al valico di Rafah, ce ne hanno chiesti altri 200 per addestrare la polizia palestinese oltre al prevedibile, contributo che daremo alla forza di pace).
Sono passi che richiederanno molto tempo, avranno progressive necessità di chiarimento, ma non possono avere che un finale: confini certi di uno Stato palestinese indipendente che riconosca Israele e da esso sia riconosciuto. Ieri Trump su questo punto è stato evasivo, ma sa benissimo che è l’unica soluzione possibile per riportare una pace definitiva e durevole in tutto il Medioriente. Il Nobel per la pace, che gli è sfuggito ieri anche per ragioni burocratiche, potrebbe andargli meritatamente l’anno prossimo se nei prossimi mesi le cose andranno come è stato scritto nei venti punti del trattato.
Quando si parlerà di sicurezza e di ricostruzione, sarà il momento in cui scenderanno in campo l’Europa e l’Italia. Entrambe sono state assenti nelle decisioni definitive, ma la Meloni - molto popolare nel mondo arabo - incontrando Blair e consultando al telefono i leader della mediazione ha posto le premesse per un ruolo tutt’altro che marginale per l’Italia nell’opera di pacificazione e di ricostruzione di Gaza. È molto significativo, a questo proposito, l’invito che è stato rivolto ad andare lunedì in Egitto dove l’accordo sarà solennizzato. Nell’auspicio che cessino le manifestazioni antigovernative e antisemite che sono state in Italia più dure che nel resto d’Europa.