corpo a corpo

L’apertura della Fiera bella senz'anima, tra scintille e nostalgia

BIAGIO MARZO

L’eredità ventennale di Emiliano e la nuova sfida lanciata da Decaro

«Bella senz’anima: così appare l’inaugurazione dell’ottantesima Fiera del Levante. È passato il tempo dei grandi discorsi dei presidenti del Consiglio e della presenza del gotha del capitalismo pubblico e privato. All’appuntamento non mancavano le numerose delegazioni estere.

La Fiera del Levante, per sua natura, è sempre stata un ponte di amicizia commerciale: oltre le Alpi, verso il bacino del Mediterraneo e fino all’Est Europa. Un luogo d’incontro tra popoli e Stati che non ha mai costruito muri, ma li ha abbattuti. Questo flashback diventa inevitabile in un momento in cui la Puglia si trova a un cambio di paradigma: le elezioni regionali sono alle porte, si voterà a fine novembre per eleggere la nuova Assemblea e il presidente che guiderà la Regione.

Gli elettori sceglieranno democraticamente la coalizione vincente, tra destra e sinistra. Quest’ultima ha già designato il suo candidato: l’ex sindaco di Bari ed europarlamentare Antonio Decaro. Il centrodestra, invece, resta silente. Si era ipotizzato che giocasse di rimessa, attendendo la mossa del centrosinistra per scegliere un candidato competitivo, ma Decaro ha già avuto l’investitura e procede come un treno, impegnato a comporre liste e programma, mentre all’orizzonte della destra non si intravede neppure un filo di fumo.

Michele Emiliano, presidente uscente, ha preso la parola dal palco della Fiera. Dieci anni da sindaco di Bari e dieci da governatore: per dirla con Totò, «la somma fa il totale». Venti anni da protagonista della scena politica pugliese e della Fiera stessa. Ora, però, è l’ora dell’addio. Dovrà lasciare armi e bagagli regionali, per prepararsi a una nuova avventura: il Parlamento. Nella primavera del 2027, con le elezioni politiche, sarà un candidato «a prova di bomba». Il suo intervento non aveva bisogno di chiavi di lettura: si è percepita la tristezza di un politico sconfitto che però non si dà per vinto. Emiliano resta convinto, da uomo testardo, di poter ancora «cavalcare la tigre».

Qui torna alla mente una celebre definizione del «Grande Vecchio» del socialismo italiano, Rino Formica, barese doc, secondo cui la politica è «sangue e merda»: una formula dissacrante ma realistica, specie quando si passa dalla condizione di vincente a quella di vinto. Per Emiliano, tuttavia, il paragone più calzante è quello manzoniano del Cinque Maggio: lungi da lui la sorte napoleonica, resta però la parabola di chi fu visto trionfante dal popolo, prima a Palazzo di Città e poi alla guida della Regione, e che ora deve passare lo scettro.

Si trattò di vera gloria? Forse avrebbe potuto fare di più, soprattutto negli ultimi tempi, quando lo scontro interno al Partito Democratico avrebbe richiesto un colpo d’ala invece del corpo a corpo. A lui va, comunque, riconosciuto il merito della battaglia sulla decarbonizzazione dell’ex Ilva di Taranto. In ultima analisi, avrebbe potuto circondarsi non di un inner circle capace soltanto di «servili elogi e vili insulti», ma di una squadra all’altezza.

Di Emiliano sentiremo parlare ancora. Non ha realizzato il suo «sogno» di rientrare in Consiglio regionale per non abbandonare del tutto la «cosa pugliese», ma la sua storia politica non finisce qui. È la politica, bellezza. Se Antonio Decaro vincerà la sfida elettorale, sulle sue spalle ricadrà una pesante eredità. Due saranno i possibili esiti: riuscirà a liberarsene, imprimendo una svolta riformatrice con una visione ampia e di lungo respiro; oppure resterà invischiato nella morta gora del politichese, lasciando di sé soltanto il ricordo burocratico di un numero: il XVI presidente della Regione Puglia.

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