L'analisi

Vertice Trump-Putin: la politica dei piccoli passi per aprire spiragli di pace

Francesco Giorgino

Solo il tempo ci dirà se l'incontro finirà nei libri di storia per aver avviato una fase nuova nei negoziati tra Russia e Ucraina o se si limiterà alla dimensione della cronaca

Solo il tempo ci dirà se il vertice tra Trump e Putin finirà nei libri di storia per aver avviato una fase nuova nei negoziati tra Russia e Ucraina o se si limiterà alla dimensione della cronaca. Nelle more, mettiamo insieme gli elementi a nostra disposizione fino a questo momento per svolgere un’analisi il più possibile radicata nella complessità del contesto internazionale. Il colloquio è durato tre ore. C’è stato un fuori programma quando Putin è salito sulla limousine del Presidente degli Stati Uniti, anziché sulla propria auto. Per dieci minuti i due leader sono rimasti soli, senza interpreti. Un particolare non privo di significatività, considerando il quadro complessivo del bilaterale. In verità, anche nella sua prima presidenza Donald Trump aveva condiviso la «cadillac one» (la supercar pure in quel caso era stata soprannominata the beast) con il presidente francese Macron e la limousine in Florida con il primo ministro giapponese Abe. Non sfuggono, tuttavia, le enormi differenze (personali ed istituzionali) tra Macron, Abe e Putin. Così come non sfugge la delicatezza e la rilevanza della posta in palio nel vertice di due giorni fa.

Cominciamo con il sottolineare il clima di grande cordialità che si è registrato fin dall’arrivo del Capo del Cremlino nella base militare americana di Anchorage. Tra l’altro, le telecamere hanno ripreso Trump che applaudiva mentre Putin procedeva verso di lui con passo spedito sul tappetto rosso. Sequenza poi eliminata dal video pubblicato dalla Casa Bianca, che ha voluto che le immagini ufficiali iniziassero con la stretta di mano. L’applauso a Putin è stato un gesto imprudente, considerando la reputazione a livello internazionale del presidente russo. Un gesto, oltretutto, in contraddizione con i contenuti della lettera scritta da sua moglie Melania che lo stesso tycoon ha consegnato allo zar. La first lady, di origine slovena, ha chiesto di ricordarsi della questione dei bambini ucraini rapiti e portati in Russia. Un’iniziativa che ha fatto molto piacere a Kiev.

Volendo fare un primo e parziale bilancio del vertice in Alaska, si può parlare di «progressi» o, se si vuole, di «piccoli passi avanti», anche se l’incontro di ferragosto non è approdato a quel «cessate il fuoco» che un po’ tutti si aspettavano e che auspicavano. A tal proposito, Medvedev si è affrettato a dichiarare che i negoziati sono possibili anche con combattimenti in corso, a riprova del fatto che per i russi le trattative si fanno con le armi sul tavolo, insomma sempre e comunque da una posizione di forza. Un atteggiamento quest’ultimo che trascura la necessità di un cambio radicale di postura al fine di creare un clima realmente diverso e soprattutto più rispettoso delle diverse parti in causa.

Trump ha spiegato che Putin preferisce un accordo di pace complessivo e non una tregua.

Nel frattempo ha informato i leader europei, della Nato e il presidente Zelensky della sua volontà di organizzare al più presto un trilaterale tra Stati Uniti, Russia, Ucraina. Zelensky, che domani volerà a Washington, si è detto favorevole a questo format a tre. La premier Meloni, dopo il giro di telefonate con Trump e Zelensky, ha usato un’espressione prudente e condivisibile: «Spiragli di pace». Ha ricordato che l’Italia sta facendo la propria parte insieme agli alleati occidentali per perseguire l’obiettivo ambizioso della pace e che solo l’Ucraina può trattare in relazione ai propri territori. A Giorgia Meloni, che dopo lo stallo dei mesi scorsi colloca al momento l’accordo nell’alveo delle possibilità più che della probabilità, viene riconosciuta grande credibilità a livello internazionale. È lei che ha sottolineato con forza la rilevanza di «robuste e credibili garanzie di sicurezza» in chiave preventiva di nuove guerre e nuove aggressioni. Il riferimento è al contenuto dell’articolo 5 della Nato: in pratica, una clausola di sicurezza collettiva che permetta all’Ucraina di beneficiare del sostegno di tutti i propri partner, pronti ad attivarsi qualora si ripetessero quelle condizioni che hanno portato tre anni e mezzo fa alla guerra con la Russia. Anche la presidente della Commissione europea Von der Leyen è d’accordo con questa linea.

Nell’era dell’ iper-comunicazione incontri come quelli in Alaska rilevano al di là dei risultati manifesti che, come abbiamo già specificato, sono piuttosto contenuti nell’effetto immediato. Ci sono situazioni che vanno esaminate attraverso chiavi interpretative più elaborate. Trump continua a proporsi nel contesto geopolitico come un player imprescindibile. Il messaggio che lancia quotidianamente è che senza la sua mediazione nulla si risolverebbe nei teatri di guerra e che l’equilibrio globale dipende in gran parte dalle scelte che egli compie. Putin, dal canto suo, è stato legittimato dal Presidente degli Stati Uniti, pur senza concedere granché, almeno stando a quanto emerge dalle notizie ufficiali. Alcuni interrogativi sono d’obbligo, tuttavia. A cosa si riferisce Trump quando dice che è mancata una condizione essenziale per conferire al vertice una connotazione più risolutiva? Trump si riferisce al disegno di far entrare l’Ucraina nell’Unione Europea, disegno che irrita profondamente Putin? Pensa alla richiesta del Cremlino di abbassare la pressione sulle sanzioni alla Russia? O allude, infine, alle distanze esistenti tra le parti relativamente allo scambio dei territori, con il Donbass (la liberazione di Donetsk e l’obbligo della lingua russa) al centro dell’attenzione più di ogni altra località? Altra questione correlata al vertice di due giorni fa è quella relativa ai rapporti tra Russia e Stati Uniti, rapporti che si sono oggettivamente rafforzati a tutela reciproca di interessi politici ed economici. Resta da capire cosa alla lunga farà l’Europa, che giustamente si è affettata a definire irricevibile ogni veto di Mosca su Nato e Ue.

Oggi pomeriggio si riuniranno i cosiddetti «volenterosi» in vista del colloquio di domani tra Trump e Zelensky. La Meloni sarà video-collegata con Macron, Starmer e Merz. Non si tratta tanto di capire chi ha vinto e chi ha perso, come molti media tendono a fare in queste ore, immaginando la diplomazia internazionale come il ring di un mega match di boxe, quanto di seguire l’evoluzione degli eventi attraverso un approccio che recuperi i rapporti di causa ed effetto tipici delle situazioni complesse. Cause e concause. Effetti a breve, medio e lungo termine.

Non ci resta che attendere l’esito dell’incontro tra Trump e Zelensky e soprattutto quello a tre con Putin, se effettivamente ci sarà. Magari in Italia, come proposto dal nostro governo.

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