La riflessione
Cambiamenti climatici, rincari e guerre: mare o montagna non va via l’ansia
E gli italiani rinunciano alla vacanza
Addio alle vacanze? Secondo le ultime rilevazioni, circa il 19 per cento degli italiani, 8,4 milioni, non andrebbero in vacanza durante l'estate 2025. Le ragioni principali? I rincari del settore, che magari si sommano alle difficoltà economiche che molte famiglie stanno affrontando, costringendo a contrarre o addirittura a rinunciare al meritato riposo.
Troppo presto per concludere che le vacanze vacillano come modello di economia o come stile di un paese, ma allo stesso tempo non troppo presto per chiedersi perché quest'anno il de profundis alla stagione sia risuonato ancora prima che questa si sia conclusa.
Altri fenomeni, al di là del fattore economico, e dell'adeguamento tra domanda e offerta, sono intervenuti a modificare quella che è stata una meritata conquista dell’Italia del dopoguerra, una svolta epocale negli stili di vita.
La prima domanda è allora: che gli italiani, mentre sognavano e sospiravano per la prossima vacanza, si siano riscoperti con l’antica sindrome della formica? Che saggia mette da parte le risorse per affrontare un inverno di magra che magari si prospetta infido?
Si, perché una volta le vacanze, le due-tre settimane al mare o in montagna o le ville per un mese, o i viaggi all’estero, servivano non solo a sospendere le fatiche ma anche e soprattutto a distendersi e serenamente pianificare il futuro. Proprio perché non era la stagione dello sballo, non sempre il termine "vacanza" faceva rima con “abbondanza”, anzi evocava tempi antichi di penuria, appena attenuata da giorni di distensione e piaceri.
L’Italia in marcia verso il ventesimo secolo poteva concedersi questo premio dalla fatica e dal lavoro, in una sorta di festa collettiva del sovrappiù e di ricorso all’ottimismo.
È questo il clima in cui si va snodando l’estate 2025? Beh, non è necessario sentirsi delle Cassandre per nutrire qualche dubbio in proposito e chiedersi se gli italiani non siano un po' stanchi e sfibrati specie dall’atmosfera e dalla scena internazionali, che non presentano sull'orizzonte varchi alla speranza.
Veniamo da anni pesanti come quelli segnati dal COVID, dall’emergenza sanitaria e poi dai due conflitti, russo-ucraino e in Medio Oriente. Sono fattori che si sbaglia a ritenere ininfluenti, perché, impercettibilmente, lasciano il segno indelebile nella psicologia della gente. Ed è doveroso misurarne gli effetti anche nei tempi lunghi.
E che dire poi di quella ormai evidente frattura dell’armonia tra gli umani e la Natura che vede sempre più gli uni contro l’altra armati in fenomeni estremi che misurano la nostra fragilità e amplificano la nostra diffidenza con una cascata di disdette.
Non che non si voglia far festa e celebrare il giusto merito che si deve alla civiltà del lavoro, nei rituali che sono più consoni allo spirito di un paese che avanza. Ma è che, per abbandonarsi ai puri piaceri di una brezza di mare o di montagna, bisognerà pur mettere mano a un paniere di sentimenti ed emozioni che non preveda la presenza dell’ansia.
E’ invece quella che stiamo pagando, come più di un osservatore va annotando, a una era che muta vertiginosamente, non si lascia condizionare e non lascia varchi al piacere delle conoscenze. Quando sei in ansia come fai a pensare alla vacanza?