il problema

Denatalità nel Meridione, per invertire la rotta la priorità rimane il lavoro

onofrio introna

Quale fiducia nell’avvenire può mai avere un Paese con pochi nuovi nati? È in atto una decrescita demografica, che minaccia seriamente il futuro dell’Italia intera

Denatalità in tutta Italia, spopolamento e nel nostro Sud anche la desertificazione umana di un Mezzogiorno sempre in deficit di sviluppo. Gli indicatori demografici segnalano che Bari invecchia, l’Amministrazione comunale s’impegna a programmare correttivi. Gli anziani hanno addirittura doppiato i bambini, incolpevolmente: il miglioramento accentuato del welfare in Italia assicura un incremento della qualità della salute. Non a caso siamo il Paese con più centenari.

Il guaio non sono gli anziani (che al contrario assicurano un insostituibile welfare familiare), il problema è come assicurare sicurezza nel proprio futuro alle giovani generazioni, che si traduce in un sicuro aumento della natalità. Va ribadito che il calo delle nascite è un fenomeno da non trascurare. Quale fiducia nell’avvenire può mai avere un Paese con pochi nuovi nati? È in atto una decrescita demografica, che minaccia seriamente il futuro dell’Italia intera e che si aggiunge nel Sud alla «fuga dei cervelli», per la mancanza di lavoro qualificato e quando c'è, quasi sempre, sottopagato.

Il combinato disposto poche nascite-tanti anziani rischia di ricadere a medio termine sul mercato del lavoro, sul sistema pensionistico, su quello scolastico, penalizzando quindi la crescita economica. Nel 2023 sono nati in Italia circa 370mila nuovi bimbi, in ulteriore decremento rispetto agli anni precedenti, circa il 7-8% in meno rispetto al 2022. L'età media delle mamme primipare si è attestata sui 32-33 anni e «l’indice di fertilità femminile», il numero medio di figli per donna, è sceso ad 1,29, molto al di sotto del 2,1, ossia del «livello di sostituzione» perché una popolazione possa mantenere la propria consistenza (se fa segnare indici più alti, ovviamente riesce a crescere). Incidono fattori economici, sociali e culturali: le nuove coppie sono «spaventate» dall’incertezza lavorativa, dalle difficoltà economiche, dai modelli di vita cambiati e da una sempre più problematica conciliazione lavoro-vita-casa per le donne. Cercare d’invertire la tendenza è l’obiettivo delle politiche di sostegno alle giovani famiglie e degli incentivi per le nascite, ma la situazione resta difficile. Dati impietosi dell’Istat evidenziano che il calo dei nati ridurrà la popolazione in età lavorativa, dal 3 a 2 del 2023, al drammatico 1 a 1 nel 2050, quando gli ultrasessantacinquenni potrebbero salire al 34,5% del totale degli italiani.

Oggi, la fascia più matura supera già di oltre 4 milioni quella più giovane: un primo effetto inciderà sulla scuola fin dal prossimo anno scolastico: 134mila studenti in meno tra i banchi, tra infanzia e superiori. Dai 6,9 milioni di alunni del 2024/2025, si passerà fin dal prossimo settembre a poco meno di 6,8 milioni. Se questo trend non verrà modificato, in 8/9 anni la popolazione scolastica scenderà sotto la soglia «psicologica» di 6 milioni di allievi, che si tradurrà soprattutto in un terrificante: meno studenti-meno futuri lavoratori. La perdita di circa cinque milioni di unità in età lavorativa, entro il 2040, comporterà una contrazione del Pil dell’11%, stimata da Bankitalia. Nel passare dalla denuncia del fenomeno alle misure per affrontarlo, la Gazzetta del Mezzogiorno ha segnalato - e se n’è di fatto resa promotrice - una sfida lanciata dalla Puglia allo spopolamento e alla crisi demografica, con protocolli clinici di sostegno alla genitorialità, come la fecondazione assistita, per le giovani coppie. Questo può rappresentare una delle risorse per aiutare a fare più figli ed è importante, ma non possiamo dimenticare che il Mezzogiorno non riesce ancora a mettere i giovani nella condizione di poter avere un futuro certo. Al limite, ne fanno uno soltanto e se lo fanno, ben oltre i trent’anni, anche a quaranta. Prima di sposarsi, le donne cercano il lavoro, per sé e per il partner, solo dopo pensano a mettere su casa, dopo fidanzamenti lunghi. Alla fine, quando decidono di fare un figlio, sono alla soglia dei quarant’anni.

In un mondo che è cambiato, si è trasformata anche la configurazione della famiglia che conosciamo, quella in cui siamo cresciuti e quella che in qualche maniera abbiamo organizzato quando ci siamo sposati. Tutto questo induce a ribadire che in tema di natalità resta sempre una priorità l’esigenza della certezza del lavoro e del reddito, sia dell’uomo che della donna, tanto del marito che della moglie. In più e non secondarie, si aggiungono le strutture sociali, a cominciare da nidi e asili a costi accessibili. Sono garanzie che devono essere necessariamente fornite, poi è chiaro che ci possono anche essere risorse «mediche» in aiuto alle coppie che vogliono figli e non riescono ad averne. Va benissimo anche la fecondazione assistita, tra le prestazioni sanitarie gratuite offerte ai pugliesi. La Regione Puglia ha inserito la pratica nei Livelli Essenziali di Assistenza, i Lea: i trattamenti per la procreazione medicalmente assistita potranno essere completamente rimborsabili dal servizio sanitario, a vantaggio delle coppie prive di possibilità economiche.

È un motivo di orgoglio regionalistico e una ragione in più per ideare un progetto innovativo di sostegno alla genitorialità, un piano complessivo, articolato, multitasking. Un piano socio-sanitario-lavorativo a livello nazionale, il Paese ha bisogno di una programmazione straordinaria, anche aiutata dalla stessa Unione europea. Per frenare la desertificazione l’Italia e l’UE dovrebbero guardare con attenzione al futuro, legiferando per disciplinare i flussi migratori e la conseguente nazionalizzazione, con priorità per chi nasce nel continente europeo. Una rivoluzione dell’integrazione degli extracomunitari e dell’assistenza pubblica ai giovani di oggi, per avere sempre più giovani domani.

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