L'analisi

Guardate la «Puglia che va» È il vero smacco ai meridionalisti depressi

Lino Patruno

Meglio che diventi un tormentone. Ma basta con questo Sud considerato solo una emergenza (in un Paese che, se è per questo, tutto in emergenza pare starci da sempre)

Meglio che diventi un tormentone. Ma basta con questo Sud considerato solo una emergenza (in un Paese che, se è per questo, tutto in emergenza pare starci da sempre). Basta con questo Sud eterno problema d’Italia, anzi Questione con la «Q» maiuscola. Per la quale è andata un po’ come per l’Antimafia. Che ha combattuto la mafia, ma ha anche creato una generazione di «professionisti dell’Antimafia» dalle competenze dubbie quanto i risultati. Anche il Meridione ha creato una categoria, i meridionalisti, spesso geneticamente più propensi alla depressione che alla soluzione. Contribuendo alla convinzione del Sud problema irrisolvibile che ha fatto più danni di un Trump in una vetreria. Il Sud non è cresciuto quanto poteva anche a causa di chi dallo stesso Sud lo vedeva più con apprensione che con attenzione. Quasi una autodifesa della professionalità del meridionalismo. Ma ad onta loro il Sud è sempre cresciuto anche quando non sembrava.

Così questa eterna questione della classe dirigente. Sciamano per tutta l’Italia presidenti o amministratori delegati nati sotto la «linea rossa» della perduta gente. Una campionatura? Antonio Filosa, nuovo ad di Stellantis, nascita a Castellammare di Stabia e studi ad Ostuni. Benedetto Vigna, ad della Ferrari, nato a Pietrapertosa (Potenza). Alfredo Altavilla, responsabile per l’Europa della casa automobilistica cinese Byd, nato a Taranto. E solamente da qualche giorno Luca De Meo, nato a Milano ma di madre e passione di Locorotondo, ha lasciato l’incarico di ad della Renault per andare a farlo alla Kering (diciamo il superlusso di Louis Vuitton, Gucci e compagnia). Insomma l’auto mondiale parla terrone, e ora anche la moda.

Vedi il recente boom di Bari, che non è solo informatico e turistico, ma anche industriale. Non è casuale che Landini in giro elettorale referendario abbia voluto visitare un’azienda su tutte, quella Farmalabor di Canosa che coniuga tecnologia e creatività, sorta di manifesto del Sud da copertina. L’azienda di Sergio Fontana, che ha presieduto Confindustria Bari e Bat per sei anni e fino all’altro giorno (restando ora presidente di Confindustria Puglia). Uno fra l’altro di ritorno al Sud in giovinezza, quel ritorno che deve diventare (e diventa sempre più) diritto oltre che atto d’amore.

Sono stati sei anni in cui Bari in particolare non è mai cresciuta tanto, e non solo per coincidenza. E sei anni in cui la battaglia di Fontana per la decontribuzione sugli investimenti al Sud ha dato energia e competitività a tanti produttori, risarcimento sull’impari trattamento statale sempre a loro danno. Più la fiducia (anche controversa) in quella Zes Unica che sembrava partita con buone intenzioni e a rischio poi di essere annacquata dalla gestione centralizzata dello Stato. Fatto sta che ha funzionato al meglio grazie anche a una attrattività della regione seconda solo a Campania e Sicilia negli investimenti che l’hanno scelta. Per la Puglia oltre mille progetti fino a 300 mila euro, e quasi 350 quelli fino a un milione. Traduzione: reddito e lavoro attirati soprattutto da tempi certi e facilitazioni laddove la burocrazia tanti ne ha bruciati.

La Puglia cresciuta è «La Puglia che va» di una pubblicazione di Confindustria in collaborazione con la Rai regionale, una cui rubrica settimanale è la più stimolante vetrina contro i pessimologi del non si può far nulla. Insomma un «Brand Puglia» che il giovane successore di Fontana ha detto di voler ufficializzare con un’agenzia di «Welcome to Bari» che non significhi solo overtourism, turismo invadente. E rapporto col territorio, a cominciare da quelle università con le quali ci si comportava da estranei, corpi separati. E ora una calamita per gli investitori, più convinti di chi sceglie pregiudizialmente di andare a studiare fuori.

Questa è la visione occorrente perché il Sud sia più energia che palla al piede. Sud nonostante. E Puglia in testa, non perdendo d’occhio le sorprese della Basilicata. Non ignorando tutto ciò che non va, compreso chi ha più fatalismo che occhi per guardare. Guardare la «Puglia che va» dello SpaceLab di Maruggio per i candidati turisti dello spazio. O della portentosa Roboze delle stampanti 3D primatiste mondiali di precisione ed ecologia e ora capaci di operare on demand, soluzioni «sartoriali» in tempo reale. O della irrefrenabile Mermec dei treni diagnostici sbarcata ora anche in Africa. O del re delle pentole di alluminio che per restare in tema scende a fare un accordo con un big della pasta di qualità apulo-lucana. O dei droni e dei velivoli senza pilota.

«Puglia che va» di quella azienda di quadri elettrici che a Bari si insedia nell’ex Calabrese. A proposito dei finora citati eccellenti del Sud: dice niente il nome Calabrese? E dobbiamo sempre andare a vedere altrove?

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