l'analisi
Dalla super-globalizzazione al protezionismo: così il Tycoon ha rotto i mercati
Viviamo in un contesto geopolitico in cui può accadere qualsiasi cosa, come in realtà stiamo vedendo, drammaticamente, in questi giorni
Viviamo in un contesto geopolitico in cui può accadere qualsiasi cosa, come in realtà stiamo vedendo, drammaticamente, in questi giorni. L’Occidente sta affondando nell’Atlantico e in Europa sta comparendo la politica degli egoismi dei vecchi Stati nazionali e l’America, quella di Donald Trump, sta soverchiando principi e valori democratici e liberali personali e collettivi di cui era un unicum nel Mondo.
L’imposizione dei dazi da parte dell’amministrazione Trump ha riacceso il dibattito sul protezionismo economico, che rischia di compromettere decenni di progressi verso la globalizzazione, entrata in ballo nel 1989, con la fine della contrapposizione tra Occidente e Oriente. I timori inflazionistici e recessivi derivano principalmente da un aumento dei costi di produzione. I dazi rendono più costoso importare materie prime e prodotti intermedi, generando un aumento dei prezzi lungo la catena di approvvigionamento. Il che porta a un calo dei consumi e all’aumento dei prezzi al dettaglio riduce il potere d’acquisto dei consumatori, provocando un calo della domanda interna. Sicché si ha una incertezza economica. Le imprese, di fronte alla volatilità dei mercati, riducono gli investimenti, peggiorando le prospettive occupazionali. Il che crea un effetto domino sui mercati finanziari: il crollo delle borse riflette il timore degli investitori verso una recessione economica globale, alimentata dalla guerra commerciale. Questa tendenza al protezionismo rappresenta una potenziale inversione di rotta rispetto alla globalizzazione, che ha caratterizzato il commercio mondiale dagli anni ’90 in poi.
L’idea di chiudersi entro i propri confini economici si scontra con una realtà ormai interconnessa, dove filiere produttive e scambi commerciali coinvolgono più paesi. La guerra dei dazi rischia di spezzare le catene del valore globale. Aziende come Apple, che dipendono da componenti prodotti in Asia, subiscono pesanti contraccolpi. Peraltro, riducendo la competitività: i prodotti diventano più costosi, compromettendo la posizione economica di interi settori industriali. Con ciò si fomentano tensioni politiche: paesi colpiti dai dazi cercano nuovi alleati commerciali, ridisegnando le alleanze economiche e geopolitiche. L’avanzata del sovranismo e del populismo economico si inserisce in un contesto di crescente malcontento sociale. Questi movimenti sfruttano la percezione di disuguaglianza prodotta dalla globalizzazione, promettendo il ritorno alla protezione dei settori nazionali e alla sovranità economica. Tuttavia, questo approccio ha conseguenze potenzialmente devastanti. Ciò cui assisteremo è una frammentazione dei mercati e il ritorno al nazionalismo economico - che in alcuni casi si declina con una simil autarchia-, che segmenta l’economia globale, ostacolando la cooperazione internazionale. Infine, comporta una riduzione della concorrenza: i mercati chiusi favoriscono il protezionismo e l’inefficienza, con un calo della qualità e dell’innovazione. Rischio per le istituzioni liberaldemocratiche e parecchio serio. L’interventismo economico e la chiusura commerciale vanno spesso di pari passo con un restringimento degli spazi democratici e una maggiore concentrazione del potere decisionale. I cui effetti portano - come dir si voglia- alla democrazia illegale o all’autocrazia.
L’instabilità causata dai dazi e dalla guerra commerciale potrebbe favorire una fase di riflessione globale sulle basi stesse della cooperazione economica. Se il protezionismo dovesse prevalere, il rischio è quello di un ritorno a dinamiche pre-globalizzazione, con economie più chiuse, meno integrate e potenzialmente più deboli. Al contrario, una risposta multilaterale coordinata potrebbe evitare la frammentazione, preservando i benefici del libero mercato. La sfida sta nel trovare un equilibrio tra la protezione degli interessi nazionali e la preservazione di un ordine economico globale aperto e competitivo.