L'analisi
Nichi e Michi candidati? Quella «voglia» di regione e il passato che non passa
È mai successo nella storia della Regione Puglia, dal lontano 1970, che ex presidenti di Regione si ricandidassero da consiglieri regionali?
Sì, no, non so, ni. Nichi Vendola non scioglie la riserva sulla sua possibile candidatura alle prossime regionali pugliesi. Tutti attendevano, sino a ieri, di capire cosa accadeva nella Consulta, chiamata ad esprimersi sul terzo mandato dei presidenti di Regione, e dunque sulla possibilità o meno che Michele Emiliano (tentato fino all’ultimo) potesse pure riproporsi alle urne da candidato governatore. Niente da fare: i vari Emiliano, De Luca, Zaia sono chiamati a levare le tende del potere lasciandole ai propri successori. Per la Puglia, come noto, il problema è già risolto: la successione significa Antonio Decaro, candidato in pectore da mesi a prendere le redini di Emiliano. Per il ritentro di Vendola, invece, chissà. Sì, no, ni, «me lo chiedono», «mi tirano per la giacca», «sono uomo di partito» etc. etc.
Da osservatori distratti dai tanti problemi - le bollette, le guerre commerciali, le guerre vere ai confini dell’Europa, la disoccupazione, lo spopolamento e la fuga dei giovani, l’overtourism e i palazzi che crollano nel centro di Bari - ci chiediamo: è mai successo nella storia della Regione Puglia, dal lontano 1970, che ex presidenti di Regione si ricandidassero da consiglieri regionali? Non ce ne vogliano né Emiliano né Vendola, pronti a scendere in campagna elettorale da consiglieri semplici con Decaro in corsa da governatore, ma la loro presenza sulle prossime schede - dopo aver governato 10 anni ciascuno la Puglia - è già di per se una novità «anomala» nel panorama politico degli enti locali.
Ancor di più, probabilmente, anomala sarà per il futuro governatore Decaro qualora vincesse (cosa facilmente prevedibile alla luce dei consensi raccolti dall’ex sindaco di Bari alle ultime Europee e del favore di cui gode in larga parte del popolo pugliese). Perché avere alle spalle due - come chiamarli, «commissari», «supervisori», «governatori ombra»? - non è proprio quello che uno si aspetta nella vita. Due presenze, per di più, così «ingrombanti» come loro (in senso politico, ovviamente) essendo entrambi, piaccia o no agli avversari, due leader del centrosinistra pugliese e due protagonisti della scena politica nazionale che, a fine carriera, decidono di tornare lì dove tutto è cominciato.
Al di là delle anomalie, saranno poi gli elettori - ai quali non manca certo la nostalgia (della primavera vendoliana o della primavera emiliana) - a decidere. Con un dubbio che ci frulla nella testa: possibile che sia così difficile assecondare un ricambio, creare una staffetta, passare di mano le leve delle istituzioni e, così facendo, garantire a chi si recherà alle urne qualche chance in più di guardare ad un nuovo futuro, ad una visione nuova che non sia quella degli ultimi 20 anni di «primavera»? Cioè, nel rispetto delle indubbie qualità di entrambi i governatori (ex ed uscente), possibile che in Puglia - come nel resto d’Italia - si continui a parlare di nuove generazioni ma sia sempre così difficile passare di mano uno «scettro»?
Certo, l’altra faccia della medaglia è che con Emiliano e Vendola almeno l’emiciclo di via Gentile guadagnerebbe di «spessore» politico. Perché, non ce ne vogliano i consiglieri uscenti, ma un quinquennio di legislatura così, tra sedute a vuoto a ripetizione per mancanza di numero legale e piogge di inutili interrogazioni, non lo si ricordava da tempo. Chissà che con i due «generali» che guarderanno a vista il prossimo governatore, chiunque egli sia, non ci guadagni tutto il parlamentino pugliese. Si vedrà.
Dall’altra parte, a destra, per ora c’è un candidato fantasma e - a giudicare dai tentennamenti di tutti i partiti che pure guidano la maggioranza del Paese e dell’attuale governo Meloni - presto al posto del fantasma ci sarà un «agnello sacrificale» del civismo o della politica da portare a spintoni alle urne per farsi impalare dall’inesorabile macchina di guerra della «primavera pugliese» del centrosinistra, resistita a lunghi e rigidi inverni ed oggi pronta a travolgere tutti con - addirittura - due generali al seguito dell’imperatore Decaro.
Tornando ai due generali, quali sarebbero le motivazioni? Nel caso di Emiliano, è lecito presupporre che il presidente uscente non voglia mollare la presa del controllo sulla «sua» Regione. E, per quanto giochi di staffetta dall’ormai lontano 2004 con l’allora assessore comunale di Bari Decaro, non voglia rinunciare a «controllare» l’azione amministrativa pugliese dallo scranno di consigliere semplice, fosse pure per continuare a muovere i fili del teatro politico regionale, tra Pd, civismi, transfughi da destra e aperture ai pentastellati.
Quanto a Vendola, le ragioni politiche sembrano più legate alla soglia di sbarramento: senza il suo nome Avs rischia di non farcela a superare il fatidico 4% in Puglia, ancor di più rischia di non entrarci proprio se i seggi in consiglio - in assenza di provvedimenti legilsativi che pare stiano pure arretrando alle Camere - da 50 si ridurranno a 40. Ecco forse spiegati i «sì, forse» e i «ni» che Vendola fa circolare da tempo, condizionati anche da un pesante fardello processuale a Potenza nell’ambito di «Ambiente svenduto».
Che dire. Mentre la destra dorme, la sinistra si muove, si agita, scomoda i suoi big, tira fuori le unghie e le «figurine» migliori della sua schiera da candidare. E promette il cappotto alle urne, modello Berlusconi in Sicilia alle politiche del 2001. Promettendo un futuro.. che sa tanto di passato.