L'analisi

Tra manifesti e comici l’Italia si attarda mentre il mondo cambia

Vincenzo D'Anna

«La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista: la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso»

«La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista: la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso». Ed ancora: «Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente (...) Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni. La metodologia politica democratica sarà un peso morto, nella crisi rivoluzionaria». Quelli che avete appena letto sono alcuni concetti estrapolati dal Manifesto di Ventotene, l’importante documento politico che sta tenendo banco in questi giorni all’indomani dell’intervento di Giorgia Meloni in Parlamento. Si tratta di passaggi estremamente espliciti, che descrivono un’idea di «modello europeo»: apertamente dirigistica e verticistica degli aspiranti euro-rivoluzionari, ben decisi ad agire senza consultare il popolo, ritenuto immaturo e incapace di decidere.

Un’impronta di inequivocabile stampo leninista, di un apparato centralizzato e governato da élite che diventeranno, in seguito, le tipiche nomenclature di partito che gestiscono società programmate dallo Stato onnipotente. Non a caso il testo fu vergato da due perseguitati dal fascismo: il socialista, ex comunista messo all’angolo, come eretico per le critiche ricevute dalla dirigenza del Pci, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi che sarà poi un liberale a tutto tondo. Il contesto è quello di due esuli costretti a scontare i rigori di una condanna al confino di Ventotene, per idee politiche che contenevano, quindi, una visione condizionata e ristretta del mondo per quello che era e di quello che poi sarebbe diventato.

E tuttavia l’impronta del documento, per come oggi concepiamo la democrazia liberale e la società aperta (fatta di diritti individuali, tollerante e globalizzata), è autoritaria, gravida di statalismo e di coercizioni. Il manifesto andrebbe valutato dunque per l’epoca in cui fu concepito, al pari di tante altre opere del passato, a cominciare da altri modelli utopistici ed illiberali come quelli contenuti, per esempio, nella Città del Sole di Tommaso Campanella, nell’Utopia di Tommaso Moro, nel Principe di Niccolò Machiavelli, nella Repubblica di Platone e nel Capitale di Carlo Marx. Un tentativo di società perfette e come tali vincolate a precetti obbligatori, inaccettabili nella moderna concezione dello Stato.

Sarebbe bastata questa valutazione, che Massimo Cacciari ha puntualmente esposto, per evitare lo «scandalo» di una lesa maestà ad un testo che per troppi anni (e da troppi soggetti) è stato ritenuto la Bibbia dell’europeismo. Se Giorgia Meloni invece di essere spigolosa e cruda nella sua enunciazione avesse utilizzato questo parallelismo di tipo culturale, forse non avrebbe innescato la commedia melodrammatica che Federico Fornaro, marxista convinto, ha messo in scena. Ancor peggio però hanno fatto tutti coloro che, per ignoranza o per mera tattica di contestazione, hanno gridato allo scandalo sciorinando la vecchia e cara teoria dell’antifascismo di cui sarebbe a digiuno il presidente del Consiglio, chiamato in ogni frangente a superare la prova dell’affidabilità democratica per come la vogliono imporre gli eredi del comunismo, orfani dell’egemonia culturale della quale questi godevano una volta. Nasce anche da questa pretesa di essere i depositari dell’ortodossia democratica la reazione scomposta e per molti versi incolta delle attuali opposizioni.

Che i tempi siano cambiati, che talune idee e modelli statuali siano stati messi in soffitta dalla Storia prima ancora che dalla politica, non entra nella testa di Elly Schlein ancora protesa a rilanciarli come opportuni ed attuali. Ma al di là di questa vicenda, del tempo ad essa dedicata, dell’asprezza dei toni della polemica, resta il fatto che sulla scena politica del Belpaese sia stata rappresentata una commedia già vista e malamente recitata, ancor di più inutile al cospetto di decisioni gravi ed urgenti che dovranno essere prese per dare alla nazione un ruolo nella vicenda della guerra tra Ucraina e Russia.

Lo stesso dicasi del mutato scenario internazionale nel quale oggi tutta l’Europa si trova calata a causa della svolta mercantile e tracotante della politica estera statunitense, che ha azzerato vecchie certezze e sicurezze sotto l’ombrello protettivo offerto dalla Nato. Nel mentre un nuovo ordine mondiale si va determinando, gravido di pericoli per l’umanità intera, in Italia la Storia la insegna il comico Benigni e la politica italiana si attarda tra Ventotene e dintorni...

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