L'analisi

I giovani e la movida: quel fascino atavico della notte violenta

Enzo Verrengia

Non fanno più notizia gli episodi di movida violenta. Ma se ne trascura l’impatto sul metabolismo naturale del Sud, specialmente alla latitudine rurale della Puglia

Non fanno più notizia gli episodi di movida violenta. Ma se ne trascura l’impatto sul metabolismo naturale del Sud, specialmente alla latitudine rurale della Puglia. Qui il tirare tardi infrange il ciclo circadiano legato alla terra. Si andava a letto presto per svegliarsi in ore antelucane e recarsi nei campi, impiantistica a cielo aperto della produzione territoriale. Ed a farlo erano giovani dalla pelle precocemente incartapecorita dalle intemperie, dal calore dell’estate e dal gelo dell’inverno, né beneficiari del sollievo intermedio della primavera e dell’autunno.

Oggi quelle stesse fasce d’età pasciono nelle repliche glocal delle ramblas di Barcellona. Bastano sopralluoghi serali al Fortino di Bari, nella piazzetta della cattedrale a Foggia, in piazza Sant’Oronzo a Lecce, per citare soltanto alcuni dei luoghi deputati di una vitalità sprecata, fra schiamazzi e inebriamenti vari. Energie che andrebbero investite nel lavoro vengono disperse da una condizione di adolescenza trascinata ad libitum. Bamboccioni li definì Tommaso Padoa-Schioppa.

Non si tratta, comunque, di deprecare una gioventù che non appare tanto bruciata quanto bruciacchiata. Sarebbe vano cercare nel cicaleccio del dopocena in strada veri emuli di James Dean. Nemmeno dei suoi epigoni meno disperati di American Graffiti. Semmai il problema è domandarsi se i genitori comprendano lo scempio di cui sono complici per indulgenza, incapacità, inerzia. Si parla tanto di calo delle nascite, il temuto inverno demografico, contrapposto all’aumento della temperatura meteorologica, però nessuno prospetta alternative concrete di esistenza, che facciano riprendere l’andamento virtuoso di uno sviluppo dei nuovi arrivati.

D’altronde, sono diventati padri e madri quelli già segnati dall’edonismo degli anni ‘80, che a loro tempo andavano in discoteca e magari di facevano di ecstasy. Allora la notte sprecata assume le colpevoli fattezze di un ponte sospeso sul gap generazionale. Tanto che nel corso della pandemia si chiedeva anche da parte degli adulti, con urgenza, l’abolizione del coprifuoco. Tutto ciò testimonia di qualcosa di più profondo e atavico che non la voglia di movida e con annesso etilismo.

La notte fu infatti una conquista con cui l’homo sapiens riuscì ad affrancarsi dalla paura del buio, dalla necessità di ripararsi nelle caverne per evitare il pericolo delle belve carnivore, dalla mera soggezione alla struttura biologica del corpo. La scoperta del fuoco segnò una tappa fondamentale del dominio sulla natura e sulla sostituzione di un habitat autodefinito rispetto all’ambiente che di volta in volta si dà.

La conquista della notte è l’incubatrice dell’evoluzione. Come tale, acquisisce preminenza sulle modalità dell’articolazione umana in parallelo allo sviluppo tecnico e al mutamento dei costumi. Quando l’invenzione di nuovi strumenti operativi attenua la fatica fisica, il tramonto non è più solo la cortina che cade sulla giornata attiva. Segna, semmai, l’inizio di un’altra parte delle ore di veglia, le prolunga, e così dilata il tempo fattivo. Julien Sorel, protagonista de Il rosso e il nero, di Stendhal, di notte si arrampica con una scala nella camera della signora de Rênal e quando ne esce «non aveva più nulla da chiedere per essere soddisfatto».

Nascono rituali sia religiosi che profani non più improntati all’emanazione precipua della fonte di ogni energia, il sole. A Erebo, il dio della notte e degli inferi nella mitologia greca, subentrano entità inneggianti all’alcool e a un sesso non più riproduttivo. Si ripensi a Bacco e alle baccanti.

C’è un’altra valenza della notte sfuggita alla dipendenza dal giorno. I lampioni stradali, che fanno dire a Baudelaire dell’America: «Una grande barbarie illuminata a gas». Poi l’elettricità, che suscita comportamenti proiettati verso nuove mete dell’essere. La bohème, la perdizione, lo stravizio e altri cerimoniali acquisiscono una preminenza negata dalla soggezione alla luce. Il prezzo è lo snaturamento dei ritmi congeniti.

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