L'analisi

Fuori dai pollai mediatici le speculazioni politiche sui veri diritti dei migranti

Francesco Alicino

Dopo essere stati trasferiti nell’hotspot di Shëngjin e nel centro di accoglienza di Gjadër, 12 migranti sono sbarcati sulle coste baresi

Dopo essere stati trasferiti nell’hotspot di Shëngjin e nel centro di accoglienza di Gjadër, 12 migranti sono sbarcati sulle coste baresi. Ad imporlo i decreti del 18 ottobre 2024 della XVIII Sezione civile del Tribunale di Roma. Sono emanati ai sensi del Protocollo del 6 novembre 2023 tra l’Italia e l’Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria. Ratificato dal Parlamento italiano con legge n. 14/2024, equipara le aree delle due strutture a zone di frontiera o di transito italiane. Come tale, il Protocollo consente l’ingresso e la permanenza nel territorio albanese di migranti intercettati dalle nostre autorità marittime. Certamente non servirà a risolvere il problema dell’immigrazione illegale, hanno fatto sapere dalle file della maggioranza parlamentare, ma avrà un effetto deterrente. Vien da aggiungere che, fosse questo l’obiettivo principale, la sua carismatica ambizione rischia di eguagliare quella dei danzatori della pioggia di fronte ai fenomeni atmosferici.

Ad ogni modo, in base al Protocollo i migranti che arrivano in Albania sono sottoposti a visite mediche, hanno accesso a un interprete e la possibilità di presentare domanda di asilo. La competenza per esaminarla è attribuita alla Commissione territoriale di Roma per il riconoscimento della protezione internazionale, con Sezioni istituite appositamente. Quanto ai ricorsi giudiziali, l’esame compete in prima istanza al citato Tribunale romano, le cui udienze sono celebrate in via telematica.

Le domande vanno analizzate in un  massimo di 28 giorni, secondo la  procedura di frontiera accelerata.

Possono rientrare in questo iter solo maschi adulti sani e non vulnerabili, nonché persone provenienti da Paesi definiti come «sicuri». Lo sono quelli iscritti nella lista fornita e periodicamente aggiornata dal Governo italiano in base alla normativa dell’Unione europea (UE).

La prima applicazione del Protocollo vede come protagonisti 16 migranti, poi ridotti a 12 per la presenza di minori e malati. Provenienti dal Bangladesh e dall’Egitto, sono stati fatti sbarcare in Albania. Espletate le procedure di prima accoglienza, i 12 hanno presentato domanda per il diritto di asilo. Segue l’intervento della Commissione territoriale italiana che, alla decisione di diniego, aggiunge un’attestazione di respingimento nonostante la possibilità di ricorso presso il Tribunale di Roma. Il quale, infatti, nega la convalida dei trattenimenti nelle strutture albanesi per impossibilità di riconoscere come Paesi sicuri gli Stati di provenienza delle persone trattenute. La conseguenza è l’inapplicabilità della procedura di frontiera.

In tal modo, la vicenda dei 12 migranti rischia di situare il «neo modello italiano» di gestione dei flussi immigratori (così definito dal Presidente della Commissione europea sempre a caccia di voti e sostegni personali) nel solco delle norme simboliche e di manifesto: quelle che, dotate di talenti mediatici, si risolvono in soluzioni inutili, se non dannose e controproducenti. Lontane da incidere sui caratteri strutturali del fenomeno, hanno solo il merito di buttare la patata bollente dell’immigrazione nel campo della giurisprudenza. Salvo poi insorgere e gridare contro l’usurpazione di potere normativo da parte di magistrati che, oppositori e incontinenti, emettono decisioni «pregiudiziali», come ha immediatamente ribadito il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

A dire il vero, di «pregiudiziale» in questa vicenda c’è solo il rinvio (ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’UE) proposto da un giudice della Repubblica Ceca alla Corte di Giustizia con sede a Lussemburgo (CGUE), da cui è sorta la sentenza della Grande Sezione del 4 ottobre 2024 (causa C-406/22). L’avessero letta i Ministri e gli esperti soi-disant neutrali, si sarebbero accorti che un Paese terzo deve essere considerato come sicuro «in modo generale e uniforme». L’assegnazione di questo attributo non deve cioè prevedere delle eccezioni per alcune parti del territorio dello Stato interessato e per determinate categorie di persone; come invece stabilito dal decreto interministeriale di aggiornamento della lista del Governo italiano del maggio 2024. Tanto che, alla luce dell’interpretazione vincolante della Corte europea, il Tribunale di Roma ha ritenuto che gli Stati di origine dei 12 migranti non sono sicuri.

E questo fa decadere il presupposto necessario per la procedura di frontiera accelerata e per il trattenimento nei centri albanesi. Va da sé che, in assenza di alternative giuridicamente ammissibili, il diritto dei migranti di chiedere asilo può essere soddisfatto mediante la loro conduzione in Italia. Di qui la reazione dei partiti di opposizione che, a corto di idee su come gestire il fenomeno immigratorio, hanno parimenti gridato allo scandalo, ma per ragioni uguali e contrarie a quelle della maggioranza, profilando peraltro improbabili danni erariali.

Insomma, un insegnamento si può desumere da questa dolorosa e tragicomica vicenda. In materia di immigrazione l’incapacità e gli interessi speculativi degli imprenditori del consenso e dei pollai mediatici contrastano con sempre maggiore frequenza con la logica giuridica a presidio delle democrazie costituzionali.

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