L'analisi
Il debito pubblico vola a quota tremila miliardi e la tempesta si avvicina
Cosa vogliamo fare ora per il prossimo decennio? Vogliamo finalmente provare ad agire in modo diverso ed incisivo?
Il debito pubblico italiano si è avvicinato di recente alla soglia dei 3000 miliardi di euro. Una notizia che certamente impressiona ma a cui il paese, nel suo insieme, non pone l’attenzione che dovrebbe.
Nel 2013, la notizia che il debito pubblico aveva raggiunto i 2000 miliardi di euro provocò una grande sensazione; ma cosa abbiamo fatto nel frattempo per frenare questo sviluppo esponenziale dell’eccesso di debito? La risposta sta nei freddi numeri. Altri 1000 miliardi di nuovo debito accumulato in poco più di un decennio, ovvero un incremento del 50% rispetto al volume di debito accumulato dal 1861 al 2012 (151 anni). In buona sostanza, non solo non siamo stati capaci di frenare la crescita ma addirittura abbiamo adottato misure che hanno ingigantito i numeri, già mostruosi, raggiunti nel 2013.
Cosa vogliamo fare ora per il prossimo decennio? Vogliamo finalmente provare ad agire in modo diverso ed incisivo? La risposta credo che sia logicamente intuitiva e scontata. Tuttavia, per essere incisivi occorre stabilire dei principi di partenza molto chiari e condivisi.
Quali sono i modi efficienti ed efficaci per ridurre il debito pubblico? Una risposta semplicistica sarebbe quella che dice che basta cominciare a spendere ogni anno una somma di denaro inferiore alle entrate che lo Stato realizza e così ogni anno il surplus realizzato andrebbe a ridurre il volume del debito accumulato.
Tuttavia, la gestione della finanza pubblica non si può risolvere quasi mai con un approccio di pura natura contabile. Infatti, una riduzione, tout court, della spesa pubblica produce normalmente una riduzione delle entrate, in quanto implica una perdita certa di PIL, ed un aumento delle aliquote fiscali produce normalmente una riduzione del gettito complessivo, in quanto disincentiva consumi ed investimenti, creando un circolo vizioso che porta, per ragioni sociali, ad un incremento ineludibile di spesa pubblica.
Di conseguenza, poiché il livello di indebitamento di uno Stato, e quindi la sua vulnerabilità, si misura in rapporto al PIL, il risultato che potremmo ottenere con una politica economica austero-centrica è spesso antitetico agli obiettivi che un governo si pone (Governo Monti docet). Esiste dunque una opzione efficiente/efficace per ridurre, in modo non traumatico, il debito pubblico di un paese sovra - indebitato? Secondo la maggior parte degli esperti la soluzione esiste ed è rappresentata dalla capacità di realizzare riforme strutturali che mettano il paese in grado di far crescere il PIL ad una velocità di sviluppo superiore alla crescita del debito nel tempo.
Ma se le risposte ai quesiti di base sono chiare, per quale ragione allora il nostro paese, ormai da molti decenni, non riesce mai a realizzare ciò che serve, in modo realmente incisivo? La risposta è agevole, tutte le riforme introdotte, finora, non hanno prodotto gli effetti sperati. Quindi, risulta altrettanto chiaro che la politica (e quindi tutti noi) non solo ha fallito miseramente nella fase realizzativa dei propri obiettivi ma ha anche fatto cose che non doveva proprio fare.
Pertanto, occorre stabilire, in forma prioritaria, cosa non dobbiamo assolutamente fare per affrontare il prossimo decennio creando altri 1000 miliardi di debito. In primo luogo, qualunque cosa accada, non dobbiamo più adottare misure che fanno crescere in modo esponenziale la spesa pubblica. A partire dal 2020 abbiamo adottato provvedimenti che hanno fatto crescere la spesa pubblica a ritmi folli devastando in modo profondo la nostra finanza pubblica. In secondo luogo, non dobbiamo adottare politiche fiscali pro-cicliche in periodi avversi dell’economia mondiale (aumento a pioggia di imposte e blocco degli investimenti), così come abbiamo fatto nel 2012/2013, creando depressione ed una delle crescite del debito più alte della storia.
In terzo luogo, non dobbiamo più fare riforme che prospettano aspettative roboanti nei pronunciamenti e vuote di risultati realmente apprezzabili su base concreta; un campo dove abbiamo acquisito un expertise di rara comparabilità. In quarto luogo non dobbiamo, né possiamo, considerarci soddisfatti ed esultare quando il nostro PIL cresce a ritmi blandi, ovvero con tassi dello «zero virgola».
E veniamo al punto cruciale. Visto che l’unico modo efficiente/efficace per ridurre il debito pubblico è quello di concentrarsi sulla crescita robusta del PIL, mantenendo nel contempo sotto controllo e razionalizzando la spesa pubblica, qual è la strategia che dovremmo adottare? Dovremmo fare velocemente riforme strutturali ispirandoci alle migliori esperienze di altri paesi nel mondo nei settori chiave.
Dovremmo investire sulla diffusione della cultura della crescita del Pil e sulla diffusione della consapevolezza che dobbiamo necessariamente intraprendere una strada virtuosa di riduzione del debito. Dovremmo costringere tutte le amministrazioni pubbliche (centrali e locali) a fare piani credibili di supporto alla crescita del Pil, in ogni area del territorio nazionale, introducendo adeguati sistemi incentivanti e competitivi.
Dovremmo fare in modo che i cittadini tendano a votare solo amministratori che hanno dimostrato di essere realmente capaci di far progredire, in modo tangibile e sano, i territori amministrati e di saper generare vera ricchezza. Dovremmo in altri termini affrontare la situazione nella consapevolezza che il problema è una emergenza nazionale costante e non un tema con cui rassegnarsi a convivere.
I commentatori critici a tale approccio diranno che la crescita del PIL dipende molto da fattori esogeni all’economia nazionale: - prezzi delle materie prime; - tassi d’interesse sui mercati; - politiche monetarie in atto; - sviluppo del commercio internazionale; - tensioni geopolitiche; - ecc… Tutto vero, ma è vero anche che se i venti sono favorevoli e l’equipaggio è ben preparato, la nave viaggia molto più veloce verso il progresso, mentre se i venti sono contrari e l’equipaggio e la nave sono deboli si finisce rapidamente sugli scogli. In definitiva, i venti non dipendono certamente da noi ma la capacità dell’equipaggio nel governare la nave ed orientarla nella giusta direzione certamente sì.
E la nave si deve sempre far trovare pronta ad affrontare le tempeste, se non vuole naufragare. Anche perché, purtroppo, abbiamo un dato certo davanti a noi: prima o poi le tempeste arrivano! E senza preavviso!