L'analisi
Riforme e costituzione, dal premierato alla legge elettorale
La «madre di tutte le riforme» (quella premieratista), come definita dal Governo in carica, porta con sé l’evidenza di un cosiddetto «contraltare costituzionale».
Infatti, non può parlarsi di una norma, ipoteticamente, illegittima dal punto di vista dell’iter da seguire per cambiare la Costituzione, ma si tratta di un percorso di riforma che, di per sé, si porrebbe in disarmonia con l’impianto esistente. Ciò non vuol dire che non possa funzionare in Italia il premierato in quanto tale.
Però è necessario dire, in via essenziale, che tecnicamente parlando non si tratta di premierato vero e proprio (quello che si porta avanti nel nostro Paese) bensì di elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri. Sembrano due cose simili ma, assolutamente, non possono esserlo per genetica giuridica oltreché politica.
Il premierato, per essere fedele alla conformazione puramente anglosassone, deve basarsi sulla «formula Westminster», mentre l’elezione diretta del Capo del Governo può tranquillamente agire in via autonoma in un impianto costituzionale.
Tuttavia, l’esperienza fatta dall’Israele, ad esempio, ci insegna come il premierato non sia possibile senza mettere in discussione un elemento di fondo: l’architettura repubblicana. Ciò perché il premier non deve poter influenzare la credibilità e la dignità del Presidente della Repubblica laddove quest’ultimo non sia eletto dal popolo direttamente allo stesso modo del premier. D’altronde il premierato funziona ad orologio nella monarchia inglese. E se si decidesse per l’elezione diretta del Capo di Stato da parte del popolo, allora, staremmo a parlare di un sistema presidenziale o semipresidenziale.
In una Repubblica parlamentare come la nostra, quindi, il premierato all’inglese non sarebbe praticabile anche perché il bilanciamento necessario implicherebbe cambiare tutto l’impianto costituzionale stesso.
Infatti, per rispettare la «formula Westminster» sarebbe necessario un sistema puramente bipartitico o bipolare non plurimo, una investitura diretta della maggioranza e del suo leader, sistemi elettorali uninominali con struttura maggioritarista, rilevante attribuzione di poteri normativi al governo, omogeneità di indirizzo politico tra potere esecutivo e legislativo, regole di funzionamento interne ai partiti e loro essenzialità per la partecipazione politica.
Queste sono le regole minime della detta formula di tradizione anglosassone. Cosa che, quindi, comporterebbe lo stravolgimento della nostra Costituzione e non solo: servirebbe una legge di rilevanza costituzionale sui partiti ed un’altra legge elettorale a trazione maggioritarista da costituzionalizzare.
Impraticabile il premierato (impropriamente usato come termine in Italia per identificare la «madre di tutte le riforme»), rimane da considerare se il testo approvato in prima battuta dal Senato il 18 giugno 2024 sia uno scatto di novità o una forma di inconciliabilità con la nostra Costituzione.
Nel nuovo art. 92 si vorrebbe introdurre una sorta premio di maggioranza «assicurativo» da prevedere poi con legge (elettorale).
Tale inciso è di per sé contraltare agli artt. 56 e 57 della stessa Costituzione in quanto i seggi alla Camera ed al Senato sono da ripartire con metodo proporzionale.
Vero che premio di maggioranza e ripartizione proporzionale non sono la stessa cosa, ma ne va della genetica costituzionale stessa della struttura elettiva del Parlamento: o c’è un sistema proporzionale (senza premi che parzialmente portano il sistema a una quota di maggioritario) oppure si sceglie un sistema a trazione maggioritarista oppure ancora misto.
E per fare questa scelta non può pensarsi di cambiare solo la parte di elezione del presidente del Consiglio dei Ministri senza toccare l’impianto elettivo del Parlamento: prevedere la ripartizione seggi con metodo proporzionale per poi prevedere anche un premio di maggioranza (entrambe le cose di stessa portata costituzionale) significa consegnare agli italiani un sistema bicefalo e non comunicante.
Se ci aggiungiamo, inoltre, una legge elettorale che ancora una volta non elimina le «liste bloccate» (nonostante la Corte costituzionale abbia già bocciato il Porcellum precedente al Rosatellum) stiamo certi di un solo risultato: si passerà da partiti che ormai vivono una dimensione di oligarchia mascherata a quella di eventuale oligarchia macerata. Incriccamento costituzionale in vista.