La strategia italiana

G7, dialogo e confronto politico l’unica strada per il riscatto

Lino Viola

La sicurezza e l’economia i pilastri d’una nuova architettura globale

Il mondo soffre. Da tempo la coda lunga della stabilità scaturita dagli accordi economici di Bretton Woods (1944) e geopolitici di Jalta (1945) ha cessato di riverberare i suoi effetti. Lo spettro mostruoso d’un conflitto armato è tornato ad aggirarsi in Europa. L’emergenza climatica provoca disastri mentre si tenta l’ardua riconversione energetica dal carbonio alle rinnovabili, sperando nel nucleare pulito. La guerra, la fame, l’inquinamento, la desertificazione, causano migrazioni d’esseri umani in cerca di sussistenza.

Come affrontare questa situazione? Solo il ritorno al dialogo e al confronto politico potrà salvarci. La sicurezza e l’economia dovranno essere i pilastri d’una nuova architettura globale, ma si dovrà considerarle da una diversa prospettiva. Ad esempio, ricostruendo un sistema internazionale di regole condivise e redistribuendo le ricchezze attraverso una modalità più equa di relazioni. Ancora: gestendo, secondo criteri di umanità e di civiltà, le migrazioni di chi è in fuga dai conflitti e dalle carestie.

Se l’Occidente vuole tornare a essere protagonista, deve partecipare a ristabilire condizioni durature di pace in quelle zone del mondo dove si combatte, e a elaborare un nuovo ordine economico fondato su principi di equità e di solidarietà: non c’è libertà senza giustizia sociale. Ma chi potrebbe farsi carico d’una visione così coraggiosa?

Giorgia Meloni ha ricevuto il sostegno degli altri capi di stato del G7 all’approccio italiano alla cooperazione paritaria con le nazioni africane previsto dal Piano Mattei. Enrico Mattei, il leggendario presidente dell’Eni, fu un protagonista del neoatlantismo. La classe dirigente italiana collaborava con gli Stati Uniti per difendere l’Occidente, ma dialogava anche con i Paesi in via di sviluppo relazionandosi con atteggiamento non speculativo. L’intento era rendere l’Italia una media potenza valorizzandone la posizione strategica nel Mediterraneo.

Quale potrebbe essere il neoatlantismo di Giorgia Meloni, ovvero un approccio ai grandi temi internazionali che la qualifichi non solo come leader politico ma come statista? Vale sempre l’osservazione del predicatore e teologo James Freeman Clarke (1810-1888): «Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito, lo statista a quello del suo Paese». Nella realtà globale, lo statista non pensa solo al suo Paese, ma a come opera nel contesto internazionale.

Il G7, in questo senso, è superato perché include Paesi occidentali (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Giappone) le cui economie sviluppano una percentuale cospicua della ricchezza mondiale (oltre il 60% secondo il Credit Suisse Global Wealth Report Databook). Solo due di essi, però, sono tra i dieci Paesi con più risorse naturali (nell’ordine: Russia, Stati Uniti, Arabia Saudita, Canada, Iran, Cina, Brasile, Australia, Iraq, Venezuela), a dimostrazione di come la ricchezza possa essere declinata da diversi punti di vista. Se guardiamo alla rappresentanza, cioè alla popolazione, solo un Paese del G7 è tra quelli più popolati (India, Cina, Stati Uniti, Indonesia, Pakistan, Nigeria, Brasile, Bangladesh, Russia, Messico). Nel 2050, secondo l’attuale tendenza, un quarto della popolazione mondiale sarà africana. È impensabile che la nuova demografia non abbia delle conseguenze geopolitiche.

Il 7 giugno si è conclusa a Bari la conferenza internazionale Equality of opportunity and intergenerational mobility. L'evento ha riunito cento docenti universitari da tutto il mondo che hanno lanciato l’allarme sull’urgenza di politiche pubbliche che contrastino la crescita delle disuguaglianze e della povertà. Giorgia Meloni, dopo il riconoscimento personale conseguito al G7, ha la grande occasione di porre le ragioni dell’iniquità all’attenzione della comunità internazionale. Sarebbe un’opportunità storica se proponesse una nuova Bretton Woods e una nuova Yalta che ricostruiscano un ordine mondiale più equo e solidale. Si tratta di ribaltare le logiche perverse dell’economia riassunte da un’osservazione amara di Federico Caffè: «Al posto degli uomini e delle persone abbiamo sostituito i numeri e le cifre e al posto della compassione e della solidarietà l’assillo degli equilibri contabili».

La strada del cambiamento è tracciata. Occorrono la forza e la perseveranza per vincere l’egoismo e l’avidità dei particolarismi, scegliendo di schierarsi dalla parte giusta della storia.

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