La riflessione
Contestare la ministra significa anche pensare ai bambini
Un gruppo di studenti contesta Eugenia Roccella esponendo cartelli con scritto: «Sul mio corpo decido io. Governo nega aborto», durante gli Stati generali della natalità a Roma
Un gruppo di studenti contesta la ministra Eugenia Roccella esponendo cartelli con scritto: «Sul mio corpo decido io. Governo nega aborto», durante gli Stati generali della natalità a Roma. Non ci sono tafferugli, né alcuna forma di aggressione fisica. Le urlano «vergognati» quando lei sul palco risponde così a chi la contesta: «È vero oggi non siete libere fino in fondo». Roccella lo ripete spesso e anche altri illustri e autorevoli esponenti di governo. Vuole dire: non siete libere di avere un figlio pur volendole, per cause economiche, sociali. Perché per la Ministra chi abortisce lo fa solo perché non ha alternative e non saprebbe come mantenere un figlio. Ignora che la metà di coloro che sono in età riproduttiva un figlio non ce l’ha perché non lo vuole. È dall’insediamento del governo Meloni che va avanti la retorica della legge 194 applicata a metà. L’Italia sentiva questa urgenza tra le tante. Sfugge come sia possibile che interi ministeri non abbiano accesso ai dati sugli obiettori di coscienza che rendono impraticabile l’aborto in molti ospedali, città e regioni, o che non somministrano la pillola RU486.
Quella di ieri agli Stati generali della natalità a Roma è stata semplicemente una contestazione pacifica e legittima contro le politiche di un governo che ideologicamente è contrario all’aborto e va ripetendo che «non è un diritto» (lo dice anche Marco Tarquinio candidato indipendente nella circoscrizione di centro alle europee con il PD) ma non potendo vietarlo (perché provocherebbero la reazione anche di un pezzo del loro stesso elettorato), puntano a demolire il diritto all’aborto per esempio destinando soldi del Pnrr per stipulare accordi di collaborazione tra consultori e associazioni pro-vita. È la democrazia, bellezza! I governi perseguono i loro obiettivi politici, visto che sono stati legittimamente eletti; il popolo, anche le minoranze, oltre al voto hanno diritto a manifestare il dissenso con la protesta. E la protesta crea disagio, così come gli scioperi delle classi lavoratrici.
La ministra Roccella ieri non è stata cacciata, ha scelto - come aveva già fatto un anno fa al Salone del libro di Torino - di andarsene dagli Stati generali della natalità: «Questa è censura, altro che fascismo» scriverà poi su Facebook. Ottima strategia di comunicazione. Meloni le esprime solidarietà e sfida tutti: ora condanna unanime anche dalla sinistra verso quanto accaduto. Il Presidente della Repubblica Mattarella chiama la ministra della famiglia e della natalità e fa trapelare: «Voler mettere a tacere chi la pensa diversamente contrasta con le basi della civiltà e con la nostra Costituzione». C’è da restare senza parole davanti a tutto ciò e invece le parole vanno trovate, scelte con cura e scritte con coraggio. Nell'ultimo anno ho firmato due inchieste: una sui cimiteri dei feti dimostrando con carte alla mano che ad aprire la porta nei reparti di ginecologia ai pro-vita sono i partiti (in passato in alcuni consigli regionali anche con voti di singoli esponenti del Partito Democratico); l’altra inchiesta, quaranta minuti di reportage andati in onda su Rai3 nel programma Petrolio, sulle cause di infertilità. Perché la ministra non ne parla mai e tantomeno il suo governo, ma non ci sono solo coloro che non fanno figli e quelli che non li vogliono, c’è anche chi li vorrebbe ma non può adottarli o non riesce ad averli, potrebbe essere aiutato e sostenuto con la procreazione medicalmente assistita omologa e eterologa, eppure nei centri pubblici le liste d’attesa sono impressionanti, i centri privati sono per pochi privilegiati, l’eterologa è per benestanti visto che i gameti li importiamo dall’estero e li paghiamo cari. In Italia pur essendo legale donarli non abbiamo banche, per esponenti politici come Roccella l’eterologa è la fine della maternità. Noi abbiamo il dovere di fare le riforme, raggiungere standard di welfare civili e inclusivi, investire in politiche per la conciliazione di carriera e vita privata, varare congedi parentali più lunghi per uomini e donne, prevedere incentivi e sgravi fiscali per tutte le aziende che si adeguano al rispetto dei tempi di vita, senza lasciare indietro nessuno, soprattutto le donne. Lo dobbiamo fare perché siamo un paese del G7, civile, democratico, una potenza mondiale. Non perché vogliamo solo figli bianchi e autoctoni. Noi abbiamo il dovere di rispettare chi non vuole avere un figlio per amore della patria. Qualsiasi demografo serio spiega che ormai non potremo invertire del tutto il grafico dell'inverno demografico.
L’Italia è il Paese che più rischia di essere vicino al punto di non ritorno. Punto che abbiamo già superato dal 2014. Un continuo declino che aumenterà per tutto il secolo. La natalità era 1,24 figli per donna nel 2022. Nel 2023 l’Istat propone stime a ribasso. Ma l’Italia è scesa sotto la media già nel 1984. Da allora sono passati 40 anni. Nel mondo ci sono circa 10 milioni e mezzo di bambini senza genitori o tutori. Questa è la tragica stima emersa nel 2022 da uno studio condotto da un gruppo internazionale di scienziati, i cui risultati sono stato pubblicati sulla rivista Jama Pediatrics. Gli studiosi hanno preso in considerazione i dati provenienti da tre fonti diverse: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) e il giornale The Economist. Che ne dice Roccella, ci occupiamo delle bambine e dei bambini già nati o non è abbastanza sovranista come idea di società?