L'editoriale
Nel paese delle solitudini scrivere è ormai l’antidoto al silenzio
Perché così tanti, e non solo i professionisti dello scrivere - dobbiamo chiederci - hanno preso a scrivere romanzi, racconti, poesie, meditazioni?
Nel Paese delle solitudini, dove avanziamo con fatica e non riusciamo a diradare la nebbia né a sedare le tempeste, si afferma un fenomeno inconsueto: se diminuiscono i leggenti, aumentano gli scriventi. Sì, dedichiamo mediamente sempre meno minuti a compulsare e sfogliare un libro o un giornale, per informazione o documentazione o diletto, ma paradossalmente riserviamo più tempo al puro piacere di smanettare sulla tastiera di un computer, di uno smartphone, o a vergare un foglio con l’antico strumento della penna.
Il fenomeno non solo interessa gli editori, che tuttavia non sempre governano questa piena di manoscritti e che, anzi, con aria superciliosa mostrano di non gradire la valanga dei «non addetti» e degli «esordienti» ma è degno di grande attenzione da parte dei sociologi, degli studiosi di letteratura e, più in generale, di costume.
Perché così tanti, e non solo i professionisti dello scrivere - dobbiamo chiederci - hanno preso a scrivere romanzi, racconti, poesie, meditazioni? Mentre pur continua a scemare la desueta attitudine a leggere, già fievole nel Paese? Una prima ragione è che gli strumenti per scrivere nella bolla social, all’istante e in ogni momento e atto della giornata, sono alla portata di tutti e agibili, al punto che è assai più semplice scrivere su uno smartphone piuttosto che leggere sullo stesso un giornale e o un e-book. Sono peraltro potenziate le forme di selfpublishing da parte degli esordienti, che pur disponendo di scarsi mezzi possono affrontare la produzione e distribuzione di scritture in prima persona, così come aumentano le strategie che le case editrici imbastiscono per lo scouting, la ricerca dei nuovi talenti.
L’altra ragione è che l’allungamento della vita e la conquista del benessere hanno formato una generazione più vetusta ma anche più riflessiva, che indaga sulle proprie sorti e sugli stili di vita, si interroga sul futuro invece di accettarlo supinamente. Quello che era il diario degli adolescenti, irrinunciabile fino all’approdo nel mondo degli adulti, tramuta nelle memorie della terza età. Scrivono coloro che hanno tempo libero ma anche quanti sono impegnati in professioni e mestieri, soggetti che sperimentano le asprezze della vita così come quanti ne percorrono i tratti più dolci.
Infine. L’età delle solitudini, quale si è rivelato il nostro tempo, induce a estrarre testimonianze dal silenzio. Disintegrati da carestie, epidemie, annichiliti dalla impotenza di spettatori di un mondo di odi e vendette, troviamo ristoro nel raccontare e, ancor più, nel raccontarci, che siano memorie o ricostruzioni, non importa. Scrivere sul mondo e su quel che ci accade è l’unico stratagemma che ci rimane per apparire testimoni di una realtà di cui ci sfugge il senso profondo, se pure ne è rimasto uno. Allo stesso tempo è un antidoto contro il silenzio e la solitudine.
Questo insieme di fattori ha generato un fenomeno di grande interesse anche per gli storici che finalmente, quando interpretano una età, possono avere a disposizione non solo gli atti e i gesti ufficiali dei grandi e della geopolitica ma una fonte determinante e autorevole di vita privata quali sono le memorie e gli scritti che in qualche modo esprimono i sentimenti e le passioni di più generazioni.
Soprattutto di quelle che vengono dal precedente secolo, che si apprestano a percorrere l’ultimo tragitto ma non ne riconoscono più i tratti, tanto mutati sono gli stili di vita e le relazioni che gli umani intrattengono.
Ancor più sguarnite sono le generazioni che ruotano intorno al giro di boa del nuovo secolo, perché i più deprivati e storditi da un mondo di cui vedono solo le efflorescenze disgustose.
La nuova ed effervescente letteratura degli scriventi è dunque uno straordinario documento dei silenziosi e annichiliti protagonisti della storia ufficiale. Tutti dovremmo essere felici di questo brulichio di riflessioni che esce dalle viscere della storia, quasi a negare quell’indifferenza e gelo affettivo che riscontriamo nella opinione pubblica. Se poco leggiamo, molto scriviamo perché, come insegna Sherazade e il suo inossidabile stratagemma di tenere sveglio il sultano con le storie delle mille e una notte, il racconto è la vita.