L'opinione

Dal baratro alla santità, così il «comunicatore» Decaro ha beffato il centrodestra

Bepi Martellotta

No, non è un resoconto della drammatica (e vera) guerra che si sta consumando in Ucraina, tra le prevalenti corazzate degli invasori russi e la debole difesa dell’esercito di Zelensky

La «gioiosa macchina da guerra» del centrosinistra ha dispiegato tutti i suoi mezzi, travolgendo le sgangherate truppe del centrodestra. No, non è un resoconto della drammatica (e vera) guerra che si sta consumando in Ucraina, tra le prevalenti corazzate degli invasori russi e la debole difesa dell’esercito di Zelensky. È, invece, l’impressione che si ricava da questi tre giorni di fuoco nei quali Bari, ovvero la vicenda mafia-politica su cui la Procura ha acceso i fari con quasi 150 arresti, è tornata al centro dell’attenzione mediatica: non le sue coste, non il suo lungomare – pure decantato da Fiorello – ma quello che c’è dietro la cartolina delle agenzie di viaggio.

Proviamo a riepilogare. Lunedi sera il ministro dell’Interno Piantedosi comunica alla Prefettura e al sindaco di Bari Decaro di aver autorizzato la commissione per l’accesso agli atti dell’inchiesta, come richiesto dai parlamentari di centrodestra. Una telefonata di cortesia, come si usa nell’ambito della leale collaborazione tra istituzioni prevista dalla Costituzione. Una telefonata, però, che alle orecchie di Decaro – già pronto a fare le valigie per decollare da europarlamentare verso Bruxelles e chiudere in lacrime il suo decennio da sindaco – suona come una beffa. I parlamentari del centrodestra, a iniziare dal coordinatore regionale D’Attis cui si deve l’iniziativa al ministero, sono li a fregarsi le mani: scacco matto, dicono, stavolta gli facciamo saltare le elezioni al centrosinistra che – da vent’anni – vince a Bari, alla Regione, a Lecce, a Foggia, insomma ovunque si aprano le urne in Puglia.

Decaro, chiuso il telefono, decide la strategia di controffensiva. L’intera giornata di martedì scorre tranquilla, si fa per dire, nella sonnecchiante Bari che qualche settimana fa ha scoperto distrattamente, di essere «controllata» ancora dai clan che immaginava sconfitti e dietro le sbarre. Arriva la sera del martedì e Decaro, col fegato riavvolto dalla rabbia e la lucidità che sa avere solo chi vuole vendicarsi, manda al mondo la notizia: mi vogliono commissariare. Il buio è già calato sui faretti delle tv, le rotative dei giornali cominciano a stampare i resoconti della giornata ormai andata, le radio mandano musica. Insomma, non c’è tempo per arginare - da destra - l’eco mediatica che il sindaco di Bari affida ai social e alle agenzie. Anzi, c’è tempo solo per organizzarsi a seguire la conferenza stampa che lo stesso Decaro annuncia per il giorno dopo. Praticamente la scena (almeno quella mediatica) è già coperta per 48 ore da lui, mentre i colonnelli del centrodestra erano lì ancora a fregarsi le mani, assaporando il piacere di uno slittamento di 6 mesi delle temute, temutissime elezioni.

Arriva il giorno dopo: il centrodestra parte in rincorsa a spiegare che quell’atto del Ministero è dovuto, ma niente da fare: i fari dei media si accendono su Decaro in conferenza stampa e la scena è da film. Nella sala del Comune, evidentemente in nottata, è stato già allestito un museo di giornali che ricordano le denunce fatte dal sindaco-eroe contro la criminalità nel decennio passato. E lui arriva mettendo sulla scrivania un faldone gigante che contiene i famigerati 23 dossier. Luci, microfoni, agende e applausi sono tutti per lui, il sindaco sotto scorta attaccato non solo dai criminali, ma anche dagli avversari politici. Applausi, rabbia... Bari si ricompatta nel «non offendeteci».

I colonnelli di destra, ora meno contenti, provano a rintuzzare ma finiscono nei meandri del «pastone» di giornali e tv (termine tecnico che indica quello che a Napoli chiamano «o’ zuppone», ovvero un articolo in cui si mette dentro tutto… per restare nella tecnicità, in Rai lo chiamano «panino», perché le fette di prosciutto della Dc dovevano sempre combinarsi col formaggio del Pci nell’unico servizio che sarebbe andato in onda). Mentre Decaro, vittima dell’oltraggio ministeriale, attaccato dalla destra «che così vuole risolvere la partita delle urne a Bari», scortato dalla polizia perché nemico dei clan e difensore della città, sfodera l’orgoglio barese che altri hanno provato a colpire.

Non è finita. Il giorno dopo, mentre la destra continua a cuocersi negli «zupponi» di cui sopra, il sindaco – ottenute le solidarietà da mezzo mondo – va in piazza a Roma: c’è don Ciotti che lo abbraccia, simbolo (e non solo simbolo, un santo vero) della lotta alla mafia. C’è Mattarella. E soprattutto c’è una folla impensabile di ragazzi che plaudono alle fasce tricolori dei sindaci-coraggio come lui. Altro che Bari, qui c’è l’universo che lo ascolta. E questa volta, niente lacrime (Decaro ne è avvezzo negli ultimi tempi, si commuove all’inaugurazione della Fiera, all’ultimo saluto all’Anci, alle conferenze stampa, agli abbracci di quelli che lo adorano, insomma va sempre piangendo). C’è solo un grido: Bari non è mafiosa e chi l’ha guidata è pulito come la candeggina.

Da destra, presi gli ultimi colpi, come pugili suonati provano a riprendere le fila della situazione caotica, si affrettano a spiegare: «ma come... c’è la municipalizzata Amtab a totale controllo della mafia, come può un sindaco fingere di non sapere. E nessuno ne parla?». Ma ormai è tardi. La campagna mediatica è finita: 4 a zero.

Bari si risveglia, ancora sonnecchiata, sul fango politico-mediatico che cavalca il fango vero (quello mafioso). A sinistra i concorrenti alle primarie corrono da un quartiere all’altro (più attivamente Laforgia di Leccese, a dire il vero), sui media si parla solo di primarie e di manifestazioni pro e contro il «decarismo» da tenersi in città nel week end. Per strada vedranno sfilare il centrosinistra. Sui media si parla di centrosinistra. Per le votazioni a sindaco ci sono - ad oggi - solo candidati di centrosinistra.

Decaro, ora, può piangere di gioia. Ai lati del ring, sfiniti, i colonelli del centrodestra pregano sperando che, come ieri fu per «Silvio», oggi venga «Giorgia» a salvarli dall’ennesima, ultradecennale, disfatta.

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