L'analisi

Se lavorare è morire è arrivato il tempo di riprenderci «l’umanità»

Alessandra Peluso

Chi si reca quotidianamente al lavoro non crede di dover morire e invece accade ed è frequente

Chi si reca quotidianamente al lavoro non crede di dover morire e invece accade ed è frequente. È assurdo morire per lavoro, così come lo è credere che sia l’ultima volta. Puntualmente una nuova vittima del lavoro, due, più di due… i motivi? I siti dove spesso sono impiegati gli operai, i muratori, i carpentieri, ecc. non sono a norma di legge, le macchine, gli attrezzi da lavoro sono erosi, e poi …? Nessuno controlla. Nessuno ha coscienza. Tanto cosa vuoi che accada?

Sono questi gli interrogativi che si pongono i datori di lavoro, i responsabili, o chi per loro? Sarà vano o vi sembrerà inopportuno e invece è vitale parlare di responsabilità. Si tratta di una questione etica logorata come quella trave caduta improvvisamente a Firenze ammazzando quattro operai e uno disperso che di prima mattina si erano recati lì per tirar su un bello e grande supermercato. E la colpa non è di certo della trave, lo so che l’attribuite a «lei» la responsabilità. No, è dell’umano chiunque egli sia, è di colui che non è stato responsabile né coscienzioso perché i lavori è necessario finirli al più presto e il denaro è il fine che muove tutto. Si è disposti a qualsiasi cosa, a superare ogni limite etico, oltre che giuridico, a non considerare l’altro. Questa è la società contemporanea che al pari di quella moderna ha creduto nel profitto, nell’aumento del capitale, che ha comportato un’alienazione del lavoro (K. Marx) per via anche di un impulso religioso - aggiungerebbe Weber - con L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (M. Weber).

Oggi si è frantumato qualsiasi impulso se non quello di una retribuzione di sopravvivenza: purtroppo il rispetto per il lavoro, la dignità della persona che le appartiene anche quando si reca al lavoro viene schiacciata come un masso che crolla, una gru che si stacca, un ponte che si abbatte sul terreno. Le manutenzioni hanno un prezzo elevato, è vero, ma in molti casi non si tratta di questo, quanto unicamente di essere stati depauperati di responsabilità, di volgere lo sguardo solo a sé stessi e a un guadagno immediato, e allora, «mettersi una mano sulla coscienza», ci insegna la saggezza popolare, quanto vale morire?

Il lavoro non è una punizione. Né è una maledizione divina. Rappresenta l’unico strumento che consente all’essere umano di sopravvivere legalmente e pagare le tasse. Sopravvivere. In fondo per la maggior parte dei cittadini italiani, salentini (che di malattie mortali ne hanno a iosa), si tratta di questo. Il lavoro è una necessità dalla quale nessuno può sottrarsi. Ma il lavoro è un diritto. Non è un dovere. Parimenti non lo è morire. È inopportuno attribuire i numerosi incidenti ai governi, siano essi di sinistra, di destra, di centro, che si sono succeduti nel tempo. La questione essenziale è che però attualmente nessuna fazione politica si occupa del lavoro, della sicurezza sul lavoro o lotta per il lavoro. Proprio in un periodo storico in cui la disoccupazione è altissima e la dispersione scolastica altrettanto.

«Ogni giorno 4 lavoratori sono usciti e mai rientrati: 1485 morti silenziose»: stranamente se ne è parlato a Sanremo durante il Festival della Canzone Italiana e grazie al testo cantato egregiamente da Paolo Jannacci e Stefano Massini (ispirato a un incidente mortale sul lavoro) si sono accese delle sensibilità. Ma più che smuovere emozioni seppur intense occorre reagire e garantire a ciascuno un luogo sicuro di lavoro. Occorrono coscienza e responsabilità. Qualcosa che sopraffà il denaro e che pensi che il valore di un uomo sia superiore a ogni materialità, l’umano sia qualcosa di straordinario, di unico che vale più di mille supermercati, fabbriche, di «cose». Basta con queste cosalità: l’essere cosa è propria della materia, dell’oggetto, non dello spirito, della magnanimità, dell’onestà, della bellezza.

Riprendiamoci l’essenziale, il senso della vita, la dignità, l’onore. L’umanità. Riprendiamoci ciò che conta davvero!

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