La riflessione
Dai giornali un aiuto alla generazione dei «senza politica»
La domanda è: e le nuove generazioni? Non dico i ventenni, ma i trenta- quarantenni ormai inseriti nel mondo delle professioni o del lavoro dove sono, che dicono?
Consentitemi di manifestare sincero compiacimento per l’apertura che nella sua migliore tradizione «La Gazzetta» riserva a intellettuali e politici che con passione, disinteresse e competenza affrontano argomenti di vibrante attualità politica: almeno quelli ai quali mi sto riferendo.
Tra gli ultimi, un intervento di ottimo livello tecnico e politico intorno alla protesta del mondo degli agricoltori che con i loro «trattori» attentano finanche la sacralità del festival sanremese; per non parlare dei ripetuti interventi su due riforme, secessione dei ricchi e premierato, ovvero intorno sull’indegno spettacolo offerto al mondo da una giovane donna, sorridente ma in catene mani e piedi come ai tempi del medioevo; ma anche su altri argomenti attuali.
Consentite di scrivere sul giornale a personalità con un passato nei tradizionali partiti di sinistra, qualcuno anche di destra: ma tutti collocati fra i settanta e ottant’anni. Non faccio nomi, sono più che noti.
La domanda è: e le nuove generazioni? Non dico i ventenni, ma i trenta- quarantenni ormai inseriti nel mondo delle professioni o del lavoro dove sono, che dicono? Concentrati nel loro «individualismo», scoraggiati dalla «politica personalizzata» non avvertono il dovere di affacciarsi, per assicurare un contributo ancor minimo alla causa comune della società, o almeno far sapere come la pensano? E neppure solo il desiderio, o l’ambizione, la disponibilità ad entrare, finanche ad essere cooptati, in quella che si definisce «classe dirigente», il cui deficit tutti ormai indicano come il principale fattore della crisi contemporanea? E di volerlo fare per passione, più che solo per interesse.
Questo a me sembra il danno maggiore generato nell’ultimo trentennio da quella che è stata contrabbandata come politica, demonizzando senza generosità e neanche un solo distinguo tutto quello che era «passato», per essere più chiari, «prima repubblica»: un deficit multiforme di classe dirigente, agevolato da un misto di edonismo ed egoismo non disgiunti da qualche pur legittima delusione.
Quella è una «generazione persa», qualcuno dice, e «occorre confidare nei diciottenni». E all’obiezione che il caso Catania o i coltelli che circolano nelle nostre scuole sono ancora lì che gridano vendetta, si osserva che i ragazzi non sono tutti Catania, che gli utenti social non sono tutti «haters o leoni da tastiera» e che staremmo enfatizzando minoranze estreme senza occuparci della stragrande maggioranza di gente perbene.
In effetti, vedo anch’io nei miei dintorni ragazzi straordinari che sono riusciti a sottrarsi alle suggestioni di un finto piacere: peccato che dalla maggior parte di loro, al primo accenno di ragionamenti su problemi anche solo al confine con la politica, il rigetto è più che immediato.
Se questa è la mia esperienza resta altrettanto irremovibile la convinzione che a queste generazioni qualcuno debba trasferire i fondamentali per essere «classe dirigente».
Ma chi? Le famiglie, la scuola, le istituzioni del volontariato culturale? Con una domanda ulteriore: e questi, a loro volta, li posseggono questi fondamentali? Domande per le quali chiederei l’aiuto prezioso e autorevole della Gazzetta.
Ma nel frattempo che qualcuno assicuri risposte affidabili e convincenti mi sentirei d’incoraggiare i miei autorevoli Amici a non desistere: a scrivere, a insistere, ad approfittare con spregiudicata disinvoltura della disponibilità de La Gazzetta del Mezzogiorno (e di tutti i media disponibili) e offrire le proprie idee, le proprie esperienze che sono preziose, molto preziose, incuranti delle suggestioni di quell’eterno presente che, occorre dirlo, ha molto poco da farsi invidiare da un passato al quale qualche merito dev’essere riconosciuto; come fanno le autorevoli pagine, contribuendo «a ricostituire gli anticorpi necessari per contenere la diffusione delle credenze più aberranti».