l'analisi
Basta con la deregulation, gli agricoltori non possono pagare tutto
La lettura del fenomeno non è semplice. Quel che occorre è analizzare le ragioni strutturali della protesta
La protesta agricola o dei trattori dilaga in tutta Europa. La lettura del fenomeno non è semplice. Essendo diverse le condizioni fra Paese e Paese della Ue e all’interno del comparto. Quel che è certo è che il reddito agricolo è in regressione. Un altro segmento delle classi medie è in sofferenza e su di esso si avventano gli avvoltoi delle destre nazionaliste ,in vista delle elezioni del nuovo Parlamento europeo. Tuttavia gridare «al lupo al lupo» per scongiurare il pericolo della loro strumentalizzazione e additare il «popolo dei trattori» come espressione di bieco corporativismo sovranista è altamente improduttivo.
Quel che occorre è analizzare le ragioni strutturali della protesta.
Al primo posto vi è la concorrenza sleale sia nel mercato unico europeo che in quello globale. Per questo congiurano diversi fattori. Innanzitutto, gli effetti della guerra in Ucraina e dell’aggressione russa. L’embargo contro la Russia ha avuto ricadute assai pesanti sul reddito agricolo. Sia per l’aumento dei costi della energia che dei concimi. La Russia è il principale produttore ed esportatore di fertilizzanti. Da qui la sequenza: scarsità di concimi, aumento del loro prezzo sul mercato interno, aumento dei costi di produzione del grano e calo dei prezzi d’origine per gli agricoltori. Mentre la catena iniqua della distribuzione ha portato a più alti costi pane e pasta per il consumatore.
Sempre per il grano, la rimozione dei dazi sul grano di Kiev ha fatto importare da quel Paese ingentissime quantità di prodotto, riducendo ancor più i margini di profitto dei nostri agricoltori.
A questo si aggiunge che gli accordi commerciali con i Paesi del Nord Africa, i cosiddetti corridoi verdi, fanno giungere in Europa produzioni che sono ben al di sotto degli standard igienico-sanitari che da almeno 40 valgono per le produzioni europee. Questi processi impongono dunque nuove regole e nuove forme di solidarietà comune. Estendere per esempio alle produzioni agricole quel che vale per l’acciaio verde, il border adjiustment mechanism, ovvero l’aumento dei dazi. E comprare come Unione europea grano dalla Ucraina o da altri Paesi produttori per donarlo ai Paesi africani.
Altro fattore sensibile riguarda il costo del lavoro agricolo. I commentatori dei media che operano in Germania raccontano che ai contadini tedeschi è imposto un salario minimo di 12,41 l’ora, che arriva a 17,29 per i lavoratori agricoli specializzati . La media del salario del lavorare agricolo dei Paesi dell’Est è di 5 euro all’ora. Siamo al dumping salariale. E che succederà quando con l’ulteriore allargamento a est la UE conterà 36 Paesi? Senza una correzione dei Trattati per una nuova regolazione di questi processi, dei movimenti di capitali, merci e servizi ,la sirena dell’autarchia o della uscita dall’Europa si farà più forte.
E non servirà il richiamo ai valori fondativi della Ue senza equità economica fra i suoi cittadini. Il vento di destra soffierà perciò ancora più forte contro le prime innovative sfide della Ue per esempio in tema di cambiamenti climatici . E dunque per smantellare il Green deal.
Il Green deal e il Farm to Fork (dai campi alla tavola) creano le condizioni di difesa di beni scarsi come suolo e acqua, per la fertilità dei campi, per la diversità genetica.
Sono politiche fondamentali contro il surriscaldamento climatico e gli eventi estremi che distruggono i raccolti . Ma i costi maggiori di una agricoltura sostenibile possono gravare solo sugli agricoltori?
Peraltro con una Pac che in Italia distribuisce meno risorse per le piccole aziende che sono il motore della nostra agricoltura rispetto alle grandi che sono solo il 20% delle imprese italiane? Chi compensa il mancato reddito per la messa a riposo temporanea delle superfici coltivabili? A chi spetta la ricerca per il miglioramento genetico finalizzato alla resistenza agli eventi estremi, all’aumento della produttività -con le necessarie sperimentazioni in campo genetico a tutela della salute umana?
Ecco, anche qui, se si vuole evitare che la paura dei cambiamenti del pianeta alimenti la rottura del mondo agricolo con il resto della società e con le Istituzioni la strada obbligata è una regolazione pubblica anche del mercato. Non la deregulation neoliberista dei grandi gruppi finanziari che spostano capitali e merci, fissano i prezzi, creano per loro profitti giganteschi a danno di imprese agricole e consumatori.
Questo chiede non un disimpegno del bilancio comunitario per la Pac , ma una politica mirata di incentivi e sussidi della Ue. Come negli Stati Uniti ove, con l’Inflaction Induction ACT, hanno accompagnato la transizione ecologica con un finanziamento di 20 miliardi di dollari a favore dei loro farmers.