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Oscurare la storia non aiuta i giovani a crescere

 
Lisa Ginzburg

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Lisa Ginzburg

Oscurare la storia non aiuta i giovani a crescere

Tutto questo odio e dolore che si respira li tocca nel profondo, ben più di quanto non tocchi noi, che con l’età una qualche scorza ce la siamo fatta

Mercoledì 08 Novembre 2023, 13:45

Se hai figli non più bambini ma nemmeno cresciuti, figli preadolescenti o adolescenti, in tempi difficili come è questo, difficile e doloroso per causa di una geopolitica scellerata, è facile trovarsi paralizzati in una sorta di dilemma pedagogico.

Da un lato pensi che i ragazzi (nel senso, è ovvio, di «le ragazze e i ragazzi») debbano sapere cosa accade, a grandi linee quantomeno; dall’altro lato, con stessa urgenza e convinzione senti, imperativo, il dovere di proteggerli da quello stesso sapere. Per settimane, la sera tieni la televisione spenta, nel timore che i figli possano assistere a tante scene orribili e disumane. Già spezzano il cuore a te, a voi, genitori, non si vede necessità che sia lo stesso per i figli. Poi, passato un po’ (troppo) tempo, ci si decide a riaccendere la televisione, lasciar entrare da qualche spiffero l’informazione dentro casa. Questo perché dopo varia riflessione si considera che, se pure in forma minima, i figli / ragazzi preadolescenti o adolescenti debbano sapere quale funesto momento attraversiamo.

Allora, tra lo stupore e la presa d’atto, può accadere di accorgersi della loro resistenza a sapere. Si difendono da un dolore eccessivo. Non che si sottraggano fisicamente, magari davanti alla televisione ci restano; ma lo fanno tenendo ben fermi tra le mani i telefoni cellulari e fissandoli (come al solito, ora forse ancora di più) pur di non vedere sullo schermo della televisione gli orrori e i frangenti di guerra e di morte che sfilano, scena dopo scena, come fosse secondo l’architettura della più feroce e inimmaginabile delle drammaturgie. Così si proteggono, i ragazzi. Pensi (pensate) che abbiano tutte le ragioni di farlo, e d’altra parte non ci si pente di averli coinvolti nella visione del telegiornale, per una sera almeno. Questo è il mondo, questo un terribile presente a partire dal quale i nostri figli prenderanno le mosse per impegnarsi a costruire un diverso futuro. Qualcosa devono pur saperla, non sono più bambini.

Nell’angoscia da cui siamo abitati, strattonati, la loro resistenza a informarsi è atteggiamento che anzi di tanto in tanto ci contraria: non possiamo impedirci di vederlo come una fuga da parte loro, un sottrarsi alla verità della vita che, non essendo più dei bambini, dovrebbero comunque cominciare a comprendere.

A tavola, mentre si cena, i figli ti/vi raccontano che a scuola un poco delle guerre con i professori si è parlato, commentato. A sentire i loro smozzicati resoconti però, non si capisce quanto quei professori abbiano parlato ai loro studenti sul serio o solo in parte. Loro anche, come adulti e insegnanti, macerati da stesso dilemma pedagogico: sino a che punto informare del clima funesto che viviamo, e quanto invece, anche, proteggere i ragazzi, tutelare un certo grado di spensieratezza necessario alla loro giovane età tenendoli lontani dall’eccesso di bruttura e disumanità che offusca i cieli del mondo e aggrava l’animo di chiunque sia capace di sentire? Non è occultando ai più giovani la buia verità del momento storico che li si aiuta a crescere, non è tenendoli all’oscuro e al riparo da tutto quanto accade che si evita loro di sentire l’angoscia che aleggia ovunque in queste settimane, insieme a un senso di dolore acutissimo per i tanti, tantissimi morti innocenti di questa (e delle altre) guerre.

Nemmeno però si può volere mettere a parte i ragazzi di tutto, costringerli ad assistere allo spettacolo di così tanta efferata, inutile crudeltà, obbligarli a respirare tanta apprensione a condividere le nostre angoscia e tristezza per le sorti del mondo. I più giovani sono scorza viva, pronti a soffrire e ferirsi con molto più di quel che noi adulti riusciamo a immaginare. Si ha un bel parlare del loro abbrutimento per eccesso di vita virtuale, di uno spleen annoiato che intorpidisce le loro adolescenze e quando più quando meno, le abbrutisce. Non tutto, anzi poco di questo è vero: le sensibilità dei più giovani sono al contrario molto pronunciate e acute, porose, in allerta. Preservarli da una mole esagerata di dolore e dalla nostra relativa angoscia di adulti non è solo una tentazione: anche un dovere come genitori.

Tutto questo odio e dolore che si respira li tocca nel profondo, ben più di quanto non tocchi noi, che con l’età una qualche scorza ce la siamo fatta. E così il dilemma pedagogico non si stempera e non si risolve. Mai come adesso vorremmo proteggere i nostri figli; mai come adesso sappiamo che quanto accade nel mondo, come che sia li attraversa, li turba, li fa crescere non certo nel modo che desidereremmo, ma crescere, e capire. Una volta di più, come adulti, si tratta di avere rispetto, dare fiducia: fiducia alla profondità del loro preadolescente e adolescente sentire, fiducia, anche, nelle barriere che loro innalzano per difendersi. Sostenerli in questo navigare a vista tra le sponde di un fiume in piena di malessere, odio, morte. Aspettando con loro che l’acqua si calmi, almeno un poco.

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